Skip to main content

SPECIALE PESACH 5784

Scarica il Lunario 5784

Contatti

Lungotevere Raffaello Sanzio 14

00153 Roma

Tel. 0687450205

redazione@shalom.it

Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposta a riconoscerne il giusto compenso.
Abbonati

    Perché Hamas continua le aggressioni, in attesa del cessate il fuoco

    Il conflitto fra le forze terroriste di Gaza e l’esercito israeliano continua, anche se si parla con insistenza di cessate il fuoco. La ragione è che gli obiettivi reali delle due parti non sono stati ancora raggiunti. Sono obiettivi asimmetrici. Quello israeliano è militare, consiste nello smantellamento sistematico dell’apparato terrorista, costruito da Hamas e dalla Jihad Islamica in anni di lavoro: i lanciamissili, i depositi d’armi, le fabbriche chimiche e meccaniche che producono i razzi, la rete di informazione, i tunnel che servono da rifugio, collegamento, centro di comando, base d’attacco, deposito, i quadri tecnici e militari che controllano l’organizzazione, le squadre terroriste. Israele non ha in progetto l’attacco di terra, che sarebbe estremamente costoso, né la distruzione di Hamas, che è radicata e diffusa nella popolazione, dunque difficile da eliminare completamente e capace di riprodursi anche se ridotto a poche cellule. Potrebbe entrare nella Striscia se vi fosse costretto, e Hamas sarebbe ben contento di attivare le trappole che ha preparato dappertutto, i cecchini, gli agguati  e farsi pagare cara la sconfitta. Ma per ora la campagna funziona bene così e i terroristi, come ha detto Netanyahu, vengono rigettati indietro di parecchi anni nella loro preparazione bellica. 

    Hamas non si illude di sconfiggere Israele, anche se spera sempre in un colpo fortunato che passi oltre le difese di Iron Dome e faccia molte vittime, per vantarsene come di una vittoria. L’obiettivo è politico: mostrare al mondo di essere i soli combattenti attivi contro Israele, tagliar fuori la vecchia guardia di Ramallah, mostrare l’impotenza di Muhammad Abbas, meritarsi il sostegno anche economico di Iran e Turchia, vincere le elezioni palestinesi se e quando ci saranno o più probabilmente giustificare un colpo di stato contro Abbas o vincere la guerra civile che ci sarà alla sua morte. L’obiettivo più generale l’ha spiegato il leader di Hamas Ismail Haniyeh in un discorso tenuto a Doha in  Qatar l’altro ieri e reso pubblico dalla solita meritoria agenzia di informazione Memri (https://www.memri.org/tv/ismail-haniyeh-hamas-politburo-brothers-borders-1948-defending-al-aqsa-waging-intifada-trampling-coexistence): “Gerusalemme ci unisce. Le barriere geografiche all’interno della Palestina storica sono state rimosse. Oggi, la Palestina sta conducendo un’intifada da Rosh HaNikra a Umm Al-Rashrash [Eilat] e da Rafah ai punti più lontani a nord, est e ovest della Palestina. Sì, hanno pensato che 70 anni o più avrebbero potuto uccidere lo spirito di appartenenza del nostro popolo all’interno della terra occupata nel 1948. Oggi alcune teorie crollano e altre vengono ricostruite. La teoria della convivenza tra i due popoli entro i confini del 1948 – una teoria che coltivano da 70 anni – è oggi calpestata dai nostri figli e fratelli a Lod, a Ramla, a Umm Al-Fahm, a Nazareth, a Baqa Al-Gharbiyye, in Galilea, nel Negev, a Rahat, a Beer-Sceba e a Safed … Lasciatemi ribadire: a Safed! In Safed! Safed è nostra! Safed è nostra! Safed appartiene a noi e a nessun altro!”

    Al di là della retorica, l’obiettivo è chiaro: recuperare gli arabi israeliani al progetto terrorista, unificare le “tre Palestine” (Gaza, territori dell’Autorità Palestinese, arabi israeliani) sotto il comando di Hamas. Questa è la scommessa e questo spiega gli incidenti che nei giorni scorsi hanno devastato località miste come Lod, Haifa, Acco e la stessa Gerusalemme. Si tratta non solo di eliminare i concorrenti di Fatah a Ramallah, ma soprattutto di trasformare la “simpatia” espressa dai quadri politici e religiosi degli arabi israeliani (personaggi come i deputati Zuabi e Tibi della lista araba o il leader del movimento islamico Kamal al-Khatib) in guerra terroristica aperta. Hamas ha impegnato in questa operazione tutti i quadri che aveva in Israele e anche la sua organizzazione in Giudea e Samaria. I risultati sono stati definiti erroneamente da molti osservatori come una “guerra civile”, ma in realtà per fortuna siamo ben lontani da questa catastrofe e la situazione si va normalizzando. Vi sono stati incidenti, incendi, tumulti, qualche crimine terribile, come i linciaggi di Acco e Lod. Ma la maggioranza della popolazione non è stata coinvolta.

    Il fatto è che la popolazione araba di Israele è profondamente divisa. Non solo perché ci sono settori, come i drusi e certi gruppi beduini, che sono fedeli a Israele e partecipano alle sue forze armate. Ma anche perché parte crescente della popolazione vede i vantaggi che le offre il sistema sociale, economico, tecnologico e talvolta anche politico di Israele, non uguagliati da nessuno stato arabo. Altri che sono portatori di stili di vita o religioni che sarebbero oppressi da uno stato islamista. E poi vi è il gruppo dirigente dell’Autorità Palestinese, che ha uno status politico ed economico garantito dalla loro ambiguità: antisraeliani quanto possono, finanziatori dei terroristi, ma in sella grazie ai compromessi che sotto sotto fanno con Israele e al sostegno internazionale che cesserebbe se prendessero posizioni come quelle di Hamas.

    Insomma, non è affatto detto che la strategia politica dei terroristi di Gaza funzioni sul lungo termine; ma per ora essi percepiscono un appoggio crescente della popolazione araba in Israele e in Giudea e Samaria (probabilmente non quella di Gaza, che però è sottoposta a un giogo molto duro e può solo adeguarsi o ribellarsi per davvero, non esprimere dissenso). E dunque perseguono a fare i gradassi, avanzando minacce e vantando successi senza rapporto con la realtà, atteggiandosi a eroi capace di resistere alla fora di Israele.

    Dunque il cessate il fuoco ritarda, siamo ormai al decimo giorno di operazioni. Ma il conflitto del 2014 durò 42 giorni. Le pressioni internazionali continuano, ma ancora la trattativa non sembra entrata nel vivo. Perché Hamas cercherà di trattare e insieme di colpire per ultima, per sostenere il bluff della “vittoria” che vanterà. Israele ha capito che, se non accadono errori e incidenti, il costo diplomatico e politico (anche interno) dell’operazione non sarà molto grave e procede sistematicamente a colpire obiettivi scelti con cura, pensando a garantirsi un periodo di pace futuro, che sarà tanto più lungo e integrale quanto più sarà riuscito a distruggere le fabbriche di morte di Hamas.

    CONDIVIDI SU: