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    Ricordare la Shoah come missione di vita: la storia della famiglia Wallbrecher

    Federica e Tobias Wallbrecher, insieme ai loro figli e alle nipoti di Settimia Spizzichino, con le quali hanno fondato l’Associazione “Ricordiamo Insieme”, da quasi dieci anni organizzano una cerimonia per ricordare la retata del 16 ottobre 1943. L’iniziativa si svolge ormai da diverso tempo in un luogo di memoria a pochi passi dal Vaticano, l’ex Collegio Militare di Via della Lungara.

     

    «L’associazione non è nata per avere lodi ed essere premiata, ma per ricordare ogni singola vittima» spiega a Shalom Federica Pesch in Wallbrecher, presidente dell’Associazione “Ricordiamo Insieme”. «Sono credente e penso che quello che stiamo facendo sia parte di qualcosa di più grande. Ciò che facciamo ha uno scopo preciso: non perdere la memoria della Shoah»  sottolinea.

    Molti sono a conoscenza della storia della propria famiglia. La storia della propria famiglia, invece, Federica non l’ha conosciuta per diversi decenni. I suoi genitori non le raccontarono nulla di particolare riguardo al periodo della Seconda Guerra Mondiale.

    Solo nel 2016 Federica Wallbrecher scoprì il ruolo che i suoi nonni ebbero durante la Shoah. La triste scoperta avvenne dopo alcune ricerche fatte dalla presidente dell’Associazione “Ricordiamo Insieme” a seguito di un incontro con Israel Cesare Moscati, che all’epoca stava cercando il materiale per il suo documentario “Alla ricerca delle radici del male”.

     

    «Sono cresciuta pensando di essere nipote di nonni cattolici, che andavano a messa ogni domenica, e che facevano parte della resistenza passiva – racconta Wallbrecher – Dopo aver scritto a diversi archivi e alla mia famiglia, ricevetti il documento di denazificazione di mio nonno materno, che era entrato nel partito nazista già nel 1933». 

     

    Il nonno fece parte per due anni del Blockwart, ovvero le guardie di quartiere che durante la Germania nazista avevano il compito di controllare gli edifici e di scovare gli ebrei nascosti e coloro che li aiutavano, considerati dal partito nazista come nemici del Reich. Chi faceva parte di questa squadra veniva soprannominato Terrier, come la razza canina. «Non so cosa fece realmente, ma nei documenti veniva classificato come gregario e di categoria 4 nel sistema denazificazione degli Alleati» spiega.

     

    «Sentivo il dovere di raccontare il ruolo che ebbe mio nonno durante la guerra e di fare altre ricerche a riguardo», fu così che trovò le foto del nonno con l’uniforme nazista. 

    Spinta dalla volontà di continuare a fare luce su quanto fatto dalla propria famiglia durante la guerra, Federica riuscì a reperire la biografia di suo nonno paterno. Era un insegnante di una piccola scuola nelle vicinanze di Bonn e durante la guerra fu prima nominato capo della Gioventù hitleriana nella sua scuola e successivamente a livello regionale. «Il superiore di mio nonno all’interno del partito era un uomo molto cattivo, così mio nonno decise di lasciare il ruolo come capo della Gioventù hitleriana per diventare volontario militare. Venne mandato in Grecia, dove era un tecnico delle radiotrasmissioni – racconta ancora Federica – Era impossibile che mio nonno non sapesse nulla».

     

    Per Federica fu uno shock. «I miei nonni, così come milioni di altri gregari nazisti, sono colpevoli. Hanno partecipato a un sistema che rese possibile a Hitler di fare ciò che ha fatto».

     

    Diversa la storia della famiglia di Tobias Wallbrecher, marito di Federica. I suoi genitori erano dei ragazzi durante la Seconda Guerra Mondiale e facevano parte della resistenza passiva – ovvero quella che faceva parte della Gioventù hitleriana, ma che uscendo dalla città ha tolto tutto quanto e messo gli abiti della gioventù cattolica. «Dopo la guerra, mi hanno insegnato l’amore per Israele, il lavoro e l’amore per la Chiesa cattolica» sottolinea Tobias Wallbrecher.

     

    La volontà di ricordare quanto accaduto durante la Shoah è diventata una missione anche per i figli dei coniugi Wallbrecher, come ha sottolineato a Shalom Cosmas, già insignito del titolo di Alfiere della Repubblica. Infatti da diversi anni lui e i suoi fratelli aiutano i genitori nell’organizzazione della cerimonia e le attività dell’associazione. «È stato naturale e spontaneo per me aiutare i miei genitori. Sono cresciuto con la consapevolezza dell’importanza di dover ricordare la tragedia della Shoah, perché bisogna essere consapevoli del proprio passato, affinché non avvenga mai più».

     

    «Ho imparato e sto ancora imparando, ma la cosa più importante è far capire ai miei coetanei quanto sia importante la memoria – continua – Solo coltivando quest’ultima possiamo imparare a rispettare i nostri vicini e il nostro prossimo».

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