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    Salvare il mondo è una responsabilità collettiva che coinvolge ciascuno di noi

    Crisi climatica, moria di api e ghiacciai che si sciolgono. Qual è il contributo che possiamo fornire affinché il nostro pianeta continui a vivere come ha fatto negli ultimi milioni di anni? A chi chiedere consiglio? Agli scienziati? Al web? Al senso comune? Jonathan Safran Foer ha scritto un libro dal titolo eloquente: Possiamo salvare il mondo, prima di cena. Perché il clima siamo noi. 

    È utile ricordare le parole di Obama perché delineano la complessità del libro in questione: “Siamo la prima generazione a sentire l’impatto del cambiamento climatico e l’ultima generazione che può fare qualcosa per combatterlo”. A noi spetta dunque una posizione difficile, che non ammette esitazioni e non accetta ulteriori tentennamenti. È la scienza che parla e chiede a gran voce la nostra complicità.

    Foer tratta l’argomento, cui il libro è dedicato, in modo originale, nuovo, creativo. Nelle prime 75 pagine parla di altro: dei sacrifici compiuti dagli abitanti delle città americane lungo la costa orientale durante la Seconda guerra mondiale. Questi spegnevano le luci all’imbrunire con lo scopo di impedire ai sommergibili tedeschi di sfruttare la retroilluminazione urbana per individuare e affondare le navi in uscita dai porti. Poi si passa all’Alabama del 1955, quando Claudette Colvin rifiutò di cedere il posto a un bianco. Rosa Parks, militante dei diritti civili e non solo una sarta esausta che tornava a casa da una giornata di lavoro estenuante, avrebbe fatto la sua comparsa nove mesi più tardi. La storia però – ricorda l’autore – aveva bisogno di dimenticare Claudette, quindicenne, incinta di un uomo sposato molto più anziano di lei e di famiglia povera. Non risultava adatta a impersonare il ruolo di paladina dei diritti dei neri che sarebbe stato poi occupato dalla Parks. Oggi infatti quasi nessuno la ricorda. Questi due esempi sono importanti e se ne comprende il motivo a libro inoltrato. L’autore fa ampio uso di analogie, che in quanto storie realmente accadute hanno il vantaggio di mostrarsi a chi legge come significative e dunque esempi per ipotetici comportamenti futuri. Nel primo racconto l’azione di tutti ricopre un ruolo fondamentale nella vittoria degli alleati sui tedeschi. Non sarebbe potuta essere sufficiente, ma necessaria sì. E per il clima dobbiamo ragionare analogamente. Bisognerebbe rammentarne più spesso l’importanza del nostro agire. Alcune storie si prestano di più di altre ad essere raccontate, Rosa Parks è la storia che ha vinto su Colvin così come la crisi climatica, viene ripetutamente sconfitta da notizie più interessanti. Pensare a un ghiaccio che disgela è noioso, non ha alcun appeal sul lettore che predilige contenuti diversi, di impatto maggiore. Tutti possiamo fare qualcosa e limitare il consumo di derivati animali per due pasti al giorno va in questa direzione. Basta farlo a colazione e a pranzo, e chissà se poi ci verrà voglia di limitarne il consumo anche a cena. Foer non è un eroe e diffida degli ideologi. Diffida di se stesso venticinquenne, incapace nel fare i conti con la realtà, fatta di persone non monolitiche ma deboli, complesse e carnali. È a loro e a se stesso di oggi che si appella: a quelli cui piace il compromesso e perché no, la limitazione autoimposta, le cui soddisfazioni le conosce solo chi a queste non ha ancora ceduto.

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