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SPECIALE PESACH 5784

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    Parashà di Ki Tazria: Perché per la malattia della tzara’at non si andava dal medico?

    In questa parashà vengono descritti i sintomi del fenomeno chiamato tzara’at. Colui che veniva afflitto da questa affezione cutanea doveva andare a farsi visitare da Aharon il kohen gadol o da uno dei sui figli.  

                R. ‘Ovadià Sforno (Cesena, 1475-1550, Bologna) che era medico, spiega che queste affezioni cutanee di cui parla la Torà erano diverse dalla lebbra e da altre terribili malattie simili che avevano colpito gli egiziani. La tzara’at non doveva essere confusa con una malattia fisica. Egli cita il Talmud (Berakhòt, 5b) dove i maestri affermano che queste affezioni venivano per espiare dei peccati. [Infatti, eccetto pochi casi, come per Ghechazì, servitore del profeta Eliseo (2 Re, cap 5), la tzara’at non era permanente e durava poche settimane]. 

                R. Moshè Feinstein (Belarus, 1895-1986, New York) in Kol Ram (p. 61) scrive che la Torà ha dato il permesso (e il compito) al medico di curare i malati. Nel caso della tzara’at invece il malato non veniva indirizzato al medico ma al kohen. Inoltre per quale motivo quando un israelita era affetto da tzara’at doveva essere proprio Aharon, il kohen gadol a verificare se la affezione cutanea era tzara’at?  Non era forse cosa poco decorosa per il kohen gadol, il cui compito era quello di ufficiare nel Mishkàn, doversi occupare di cose del genere? Nel Midràsh (Vaykrà Rabbà, 15:8) è detto che Moshè ebbe gran pena vedere che suo fratello dovesse  occuparsi delle lesioni della pelle. Con tutto ciò vediamo dalla Torà che questo compito del kohen era importante anche se apparentemente non gli portava onore. Perché dunque questo compito fu assegnato proprio ad Aharon e ai suoi figli?  

                R. Feinstein scrive che la spiegazione va cercata nel Talmud (Keritòt, 26a). In questo trattato i Maestri insegnano che la tzara’at colpiva un israelita per una serie di sette peccati. Uno di questi è la maldicenza. Un altro è la grettezza, come quando una persona rifiuta di fare un favore o di prestare un suo suppellettile al vicino. Questo avviene quando una persona crede che “la sua roba” appartenga a lui e non si rende conto che  quello che ha è un dono ricevuto dal Creatore per fare del bene. 

                R. Feinstein aggiunge che le malattie non capitano agli esseri umani per caso. È questo è specialmente vero per la tzara’at riguardo alla quale il Maimonide (Cordova, 1038-1204, Il Cairo) scrisse: “La tzara’at non è una cosa naturale ma un effetto straordinario che aveva luogo tra gli israeliti per avvertirli della maldicenza. In questo modo la persona colpita da tzara’at doveva venire pubblicamente separata dagli altri fino a quando non avesse cessato di sparlare del prossimo” (Mishnè ToràHilkhòt Tumàt Tzara’at, 16:10). In altre parole, le lesioni della tzara’at non erano una cosa naturale ma una punizione. Per una affezione del genere non serviva il medico. Quando una persona era affetta da tzara’at bisognava curare la causa della condizione, cioè far sapere al malato che il suo modo di pensare (e il suo comportamento) era errato e che doveva fare teshuvà. Tutto questo poteva essere insegnato solo da un grand’uomo e per questo ci voleva una persona con la kedushà di Aharon. 

                Riguardo ad Aharon il profeta Malakhì disse: “La legge di verità era nella sua bocca, e non si trovava perversità sulle sue labbra; camminava con Me nella pace e nella rettitudine, e molti ne ritrasse dall’iniquità” (2:6). R. Feinstein sottolinea che in questo passo non è scritto che Aharon fece allontanare le persone dal peccato tramite ammonimenti, ma che lo fece tramite le sue azioni (il suo esempio), perché “camminava con Me nella pace e nella rettitudine” ed era “il messaggero dell’Eterno” Ibid., 2:7). La persona affetta da tzara’atdoveva vedere Aharon, la cui sola presenza serviva a far fare teshuvà. E se non era disponibile Aharon, uno dei suoi figli. Non il medico.

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