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    Parashà di Vayechì: La grande mitzvà di accompagnare i defunti

    La  tefillà  della mattina inizia con una serie di berakhòt (benedizioni). Ve ne sono due prescritte prima di studiare Torà. Nella prima diciamo: “Benedetto tu o Signore, re del mondo, che ci hai santificato con le Suemitzvòt e ci hai comandato di dedicarci allo studio della Torà. Fa, o Signore nostro Dio, che le parole della tua Torà siano piacevoli a noi e al tuo popolo, il casato d’Israele, e che noi e la nostra discendenza e quella del tuo popolo, il casato d’Israele, veneriamo tutti il tuo Nome e studiamo la tua Torà a retto fine. Benedetto tu o Signore che insegna la Torà al suo popolo Israele”. La seconda  berakhà è uguale a quella che si recita quando si è chiamati a leggere la Torà nel Bet ha-Kenèsset: “Benedetto […] che ci ha scelto fra tutti i popoli e ci ha dato la sua Torà. Benedetto tu o Signore che ci ha dato la Torà”. 

    Seguono alcuni passi inseriti appositamente nella tefillà per soddisfare l’obbligo di studiare Torà. In uno di questi è scritto: “Queste sono le cose di cui una persona gode i frutti in questo mondo mentre il capitale rimane intatto per il mondo futuro. Esse sono: onorare padre e madre, fare bene al prossimo, frequentare il luogo di studio di mattina e sera, dare ospitalità ai forestieri, visitare gli ammalati, fornire a una giovane quello di cui ha bisogno per sposarsi, accompagnare i defunti, mettere pace tra le persone, e lo studio della Torà che vale quanto tutte le altre” (T.B. Shabbàt, 127a).  

    In questa parashà vi è un esempio della mitzvà di accompagnare i defunti. Prima di morire, Ya’akov chiese al figlio Yosef di non seppellirlo in Egitto.  Egli chiese di essere sepolto nella grotta di Makhpelà a Hevron. La grotta, e il campo in cui si trovava, era stata acquistata come sepolcro famigliare da Avraham. In quella grotta erano già stati sepolti Avraham e Sara, Yitzchak e Rivka, e Lea moglie di Ya’akov. La moglie Rachel era morta nella strada di ritorno da Charàn e fu sepolta alle porte di Betlechem. Quando Ya’akov morì, Yosef seguì le istruzioni del padre. Lo accompagnarono  i dignitari del faraone, gli anziani della sua casa e tutti gli anziani del paese d’Egitto. Con loro venne tutta la famiglia. Non lasciarono in Egitto altro che  i bambini, i greggi e gli armenti. Con Yosef vennero pure carri e cavalieri; fu un corteo molto imponente (Bereshìt, 50: 7-9).

    R. Yechiel Mikhal Tukchinsky (Belarus, 1871-1955, Gerusalemme) tra le sue opere di Halakhà ne scrisse anche una dedicata al lutto, denominata Ghèsher ha-Chayìm (il ponte della vita). In quest’opera vi è un capitolo dedicato alla mitzvà di accompagnare i defunti. Questa è una grande mitzvà perché è un’opera di bene dalla quale non si aspetta riconoscenza da parte del beneficiario. Ya’akov nella sua richiesta a Yosef la chiamò appunto “chèssed shel emèt”, una vera opera di beneficienza. R. Tukchinsky scrive che in una città dove non vi è un gruppo di persone che si occupano regolarmente di seppellire i defunti (la Chevrà Kaddishà), incombe su tutti i cittadini il dovere di accompagnare il defunto alla sua sepoltura. Se invece in città vi è una Chevrà Kaddishà non è necessario astenersi dal lavoro per seppellire il defunto. Tuttavia chi vede una corteo funebre è obbligato ad aggregarsi e a camminare con il corteo almeno per la distanza di quattro braccia (due metri circa). R. Yonà Ghirondi (Girona, 1200-1263,Toledo) scrisse che si è obbligati ad aggregarsi al corteo funebre anche se il defunto viene trasportato da un luogo all’altro prima di essere sepolto.  Anche se una persona si trova in un luogo dal quale non può uscire, è obbligato ad alzarsi quando passa un corteo funebre. 

    R. Tukchinsky aggiunse che a Gerusalemme vi sono diverse usanze di origine cabalistica riguardanti la sepoltura, tratte da quanto scritto nel sèfer Ma’avàr Yabòk di r. Aharon Berekhya da Modena (1560-1639).      

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