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    La storia di Formiggini, innovatore dell’editoria oscurato dal fascismo

    Editore illuminato, divulgatore culturale e intellettuale visionario: tutto questo è stato Angelo Fortunato Formiggini, autentico protagonista e innovatore della cultura italiana di inizio ’900. A lui il giornalista Marco Ventura ha dedicato il libro “Il fuoruscito” (ed. Piemme), che sarà presentato lunedì 22 maggio alle 18 presso la Casina dei Vallati, su iniziativa della Comunità Ebraica di Roma e della Fondazione Museo della Shoah; oltre all’autore, interverranno Miriam Carcione, Franca Formiggini, Claudio Procaccia.

    Nato nella campagna modenese nel 1878 in una famiglia della borghesia ebraica, Formiggini si laurea prima in legge, con una tesi sulla donna nella Torà, e poi in filosofia, con una tesi sulla “filosofia del ridere”. Sin dagli studi emergono i tratti distintivi del suo carattere e del suo stile: l’ironia, la capacità di prendere la vita con leggerezza, senza che questa si contrapponesse a una profonda analisi culturale. Entra infatti in contatto con i principali intellettuali dell’epoca, come Pascoli e Croce. Nelle sue opere si intravede sempre anche la formazione ebraica e un attaccamento alle proprie radici, dalle quali sviluppa proprio questo carattere poliedrico

    Nel 1908 inizia la sua attività editoriale, sin da subito contraddistinta da uno spirito innovatore. Allo scoppio della prima guerra mondiale, si arruola e parte per il fronte: sotto le armi non perde la sua attitudine, così scrive bollettini e distribuisce libri ai soldati. 

    Il suo spirito innovatore si accende negli anni successivi e viene apprezzato dai lettori. Negli anni sviluppa idee e progetti originali: Formiggini è stato colui che ha coniato il termine “editoria” in Italia secondo la moderna accezione del termine. Ha promosso l’idea della “biblioteca circolante”, con circa 20mila volumi messi a disposizione per allargare la platea dei fruitori della bellezza dei libri e della cultura senza mettere a rischio l’attività imprenditoriale e commerciale dei librai. Inventa i “Formiggini day”, giornate in cui tutte le librerie dovevano mettere in vendita i suoi libri. Crea delle “cartoline parlanti”, delle foto con didascalie in cui il personaggio si presentava, uno strumento che evoca una sorta di Instagram ante litteram.

    Il successo editoriale di Formiggini subisce una brusca frenata con l’avvento del fascismo. Nonostante su alcune biografie il suo rapporto col regime risulti controverso, quello che spiega Ventura nel libro è che Formiggini non è mai stato fascista, mai iscritto al partito fascista, non è mai stato un editore organico al regime.

    Il contrasto tra Formiggini e il fascismo scaturisce da una polemica con il potente ministro dell’istruzione Giovanni Gentile, che gli aveva sottratto idee e iniziative, come il periodico di informazione libraria “L’Italia che scrive”, o il progetto della prima enciclopedia italiana, che sarebbe poi divenuta la Treccani. Iniziative da cui Formiggini viene estromesso, come denuncia ne “La Ficozza del fascismo e la marcia filosofica sulla Leonardo”, un pamphlet del 1923 scritto contro Gentile, definito un bernoccolo spuntato in testa al fascismo. Un coraggioso grido contro l’ingiustizia subita, recentemente ripubblicato. In questo testo, Formiggini racconta il modo in cui Gentile gli scippa l’idea dell’enciclopedia e soprattutto l’idea dell’istituto della divulgazione della cultura italiana all’estero.

    I dissidi con Gentile non frenano la sua produzione. Tra il 1924 e il 1926, realizza i 29 volumi delle “medaglie”, dedicate a personalità della cultura. Ma le sue opere vengono fatte sparire e Formiggini è estromesso dalle sue attività: una serie di torti che vengono denunciati nell’opera postuma “Parole in libertà”. 

    Il colpo di grazia arriva con le leggi razziali del 1938: come tutti gli ebrei italiani, Formiggini è definitivamente tagliato fuori dalla società. Lui, come estrema protesta, il 29 novembre 1938 si getta dalla torre della Ghirlandina di Modena, gridando 3 volte “Italia”. Un gesto non dettato dalla disperazione o dai problemi economici, come talvolta si è ipotizzato, ma politico, come scrisse alla moglie Emilia Santamaria. Dalle testimonianze che ha lasciato si evince come avesse meditato attentamente questa scelta, realizzandola seguendo minuziosamente vari particolari, affinché rimanesse come un indelebile gesto di denuncia delle leggi antiebraiche. La realtà, però, racconta un’altra storia: il suicidio fu praticamente occultato, non fu possibile fare un necrologio, il funerale si svolse all’alba e senza persone. Nell’immediato, il suo intento non poté pertanto essere colto e per molti decenni di Formiggini si è parlato poco. 

    Solo recentemente la sua figura è stata riscoperta e nuovamente valorizzata. Nel 2018, a 80 anni dalla promulgazione delle leggi razziali, gli è stato intitolato lo slargo sotto la torre della Ghirlandina a Modena, mentre oggi possiamo interpretare il suo gesto estremo come un atto di reazione all’indifferenza dell’epoca, compiuto ancor prima che le pagine più tragiche della guerra e delle Shoah si sviluppassero.

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