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    IDEE - PENSIERO EBRAICO

    Emòr: Due differenze tra sabato e le feste

    Nel mezzo della parashà di Emòr è scritto che l’Eterno disse a Moshè: “Parla ai figli d’Israele e dirai loro le ricorrenze (Mo’adè) dell’Eterno che proclamerete come sacre convocazioni. Queste sono le Mie ricorrenze. Sei giorni si potrà fare lavoro ma nel settimo giorno vi sarà una completa cessazione (Shabbàt Shabbatòn), un giorno di sacra convocazione nel quale non farete alcun lavoro; è Shabbàt destinato all’Eterno in tutte le vostre sedi”. (Vaykrà, 23: 1-3).
    Nei versetti seguenti vengono elencati i Mo’adim: la festa delle Matzòt, la festa di Shavu’òt, Rosh Hashanà, Kippur e la festa di Sukkòt. La Torà elenca sei giorni festivi: il primo e il settimo giorno di Pèsach, il giorno di Shavu’òt, il giorno di Rosh Hashanà, il primo giorno di Sukkòt e Sheminì Atzèret. In questi giorni, a differenza dello Shabbàt, è permesso cucinare e trasportare nel dominio pubblico (melèkhet okhèl nèfesh). Kippur ha le stesse regole dello Shabbàt.
    Rashì (Troyes, 1040-1105) nel suo commento pone una domanda: se in questo passo la Torà annuncia quali sono i Mo’adìm, per quale motivo viene elencato lo Shabbàt? Citando il Midràsh Sifrà, Rashì spiega che il passo sullo Shabbàt è stato accostato a quello dei Mo’adìm per insegnare che la profanazione dei Mo’adìm è considerata come una profanazione dello Shabbàt, e l’osservanza dei Mo’adìm è considerata come l’osservanza dello Shabbàt.
    La difficoltà nel testo della Torà messa in evidenza dalla domanda che ha posto Rashì, viene risolta in modo diverso da r. Eliyahu, noto come il Gaon di Vilna (1720-1797). Egli spiega che in questo passo della Torà si parla solo dei Mo’adìm e non si parla dello Shabbàt. La Torà insegna che per sei giorni festivi è permesso fare melakhòt come cucinare e trasportare nel dominio pubblico. Il settimo giorno nella lista dei Mo’adìm è Kippur, denominato Shabbàt Shabbatòn, nel quale è proibito fare alcuna melakhà, come di Shabbàt. Come nella settimana vi sono sei giorni lavorativi e un giorno di cessazione del lavoro, così nei Mo’adìm ve ne sono sei nei quali è permesso fare alcune melakhòt, e un giorno, Kippur, nel quale bisogna astenersi da ogni melakhà come di Shabbàt.
    Riguardo al significato del termine Shabbàt, r. Mayer Twersky (Boston, n. 1960) in Insights and Attitudes (p. 169) osserva che è generalmente definito e tradotto come “giorno di riposo”. Egli afferma che è più preciso definire lo Shabbàt come un “giorno di cessazione”. La parola riposo ci porta a pensare a rilassarsi e ad andare in vacanza. In questo modo lo Shabbàt è visto come un giorno fatto per rilassarsi e socializzare. L’espressione “cessazione” non fa venire in mente nulla di questo. Sabato come giorno di cessazione non denota riposo ma piuttosto pausa. Shabbàt è un giorno di pausa dalle tribolazioni quotidiane. Come scrive Rashì in Shemòt (20:9) citando il Midràsh Mekhiltà, “Per sei giorni lavorerai e completerai tutte le tue opere” significa che con l’arrivo dello Shabbàt bisogna considerare che non rimane più nulla da fare, ci si può dimenticare delle preoccupazioni economiche e ci si può dedicare allo studio della Torà.
    R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (p. 180) prende spunto da questa parashà per spiegare un’altra differenza tra Shabbàt e i Mo’adìm. Lo Shabbàt è un giorno santificato dall’Eterno, avendo Egli stesso cessato l’opera della creazione alla fine del sesto giorno. Per questo nel kiddùsh che recitiamo di venerdì sera concludiamo con le parole “Benedetto tu o Signore, mekaddèsh ha-Shabbàt (che santifica il sabato)”. Nel kiddùsh che recitiamo all’entrata dei Mo’adìm chiudiamo invece con le parole “Mekaddèsh Israel ve-ha-Zemanìm” (che santifica Israele e le ricorrenze). Mentre lo Shabbàt ha la propria kedushà indipendentemente dalle azioni umane, i Mo’adìm, i giorni festivi, sono santificati dal popolo d’Israele tramite la fissazione dei capi mese. L’Eterno santifica Israele, e Israele santifica le feste.

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