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    IDEE - PENSIERO EBRAICO

    La santificazione del profano (da una derashà di Rav Lichtenstein). Parashà di Shelach Lechà

    La parashà dello tzitzit viene recitata due volte al giorno nello Shemà. Si tratta in ogni caso di una parte importante all’interno delle nostre preghiere. Supponendo che questo sia stato scelto perché ricorda dall’uscita dall’Egitto, così come emerge nella Mishnà nel trattato Berakhot, rimane la domanda perché sia stato scelto proprio questo brano, e non uno dei molti altri che menzionano l’esodo. In cosa consiste l’importanza di questa parashà? Il Talmud spiega che il brano è stato scelto per le numerose importanti questioni che affronta: la mitzwà dello tzitzit, l’uscita dall’Egitto, il giogo delle mitzwot, l’apostasia, i pensieri peccaminosi e quelli idolatrici. Secondo questa spiegazione, non viene attribuita allo tzizit alcuna importanza particolare; la scelta del brano dipende dalla concentrazione di questioni capitali.
    Tuttavia i chakhamim hanno fornito molti insegnamenti sulla centralità di questa mitzwà, dicendo persino che questa mitzwà è considerata pari a tutte le altre assieme. Ha un grande valore indipendente, e non è solo un veicolo per le altre mitzwot.
    Perché è tanto importante? Per comprenderlo dovremmo porre attenzione a come veniva messa in pratica anticamente e ora. Oggi si indossa un indumento al quale sono apposti gli tziztziot, un abito destinato esclusivamente a mettere in pratica la mitzwà e che nessuno altrimenti indosserebbe. Da questo punto di vista lo tzizit è simile ai tefillin: si tratta di un oggetto sacro destinato a compiere una mitzwà. Anticamente non era così: le persone indossavano normalmente un abito al quale si sarebbero dovuti apporre gli tzitziot, e così facevano. In tal senso la mitzwà dello tzitzit è simile alla mezuzà. Non si costruisce una casa per apporre una mezuzà. La si costruisce perché è un bisogno fondamentale e l’obbligo di apporre la mezuzà lo accompagna.
    Per comprendere l’importanza dello tzitzit dovremmo allora ragionare sul significato dell’abbigliamento. Gli indumenti hanno anzitutto lo scopo di proteggere l’uomo dall’ambiente fisico, dal caldo, dal freddo, ecc. Ma l’indumento ha anche un grande valore simbolico. L’uomo viene creato nudo, come gli animali. L’abbigliamento indica la sua rottura con la natura. L’uomo non accetta l’apparenza che la natura gli ha destinato. Inizialmente l’uomo era in sintonia con la natura e andava nudo, ma poi ha iniziato a indossare degli abiti. In quel momento si è posta la questione del rapporto dell’uomo con la natura.
    Ci sono due approcci principali a questa domanda. C’è un approccio naturalistico, che sostiene che la natura è perfetta e che l’uomo dovrebbe sforzarsi di avvicinarsi ad essa. L’uomo dovrebbe seguire le sue inclinazioni naturali. L’approccio umanistico sostiene invece che la natura ha molti difetti, e l’uomo non può abbracciarla nella sua interezza. Deve lasciare il proprio segno sulla natura, dotandola di valori e moralità. A volte l’istinto deve essere represso. L’ebraismo abbraccia questa seconda visione; i desideri umani devono essere indirizzati al servizio divino per mezzo di tutte le proprie facoltà, l’istinto buono e quello malvagio. Anche l’inclinazione malvagia deve essere messa al servizio di D.: crescete e moltiplicatevi, riempite la terra e conquistatela; non solo fisicamente, ma anche moralmente. Il primo tentativo, le foglie di fico, non andò molto bene. Il secondo, quando D. fece indossare ad Adam e Chawwà delle pelli segnò l’inizio di un nuovo cammino, quello del modellamento della natura. L’abbigliamento rappresenta pertanto la filosofia dell’uomo in relazione alla natura, ma vi è il pericolo di considerarsi onnipotente. Per questo la Torà dice di mettere lo tzizit all’angolo dei propri vestiti. Lo tzizit esprime la necessità di indirizzare il controllo della natura verso il servizio divino, per infondere elementi di santità al profano.

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