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    ISRAELE

    A sei mesi dall’attacco del 7 ottobre. Che cosa è in gioco

    La terribile invasione
    Oggi sono passati esattamente sei mesi da quella terribile alba del 7 ottobre in cui migliaia di missili colpirono d’improvviso le città israeliane, la barriera di protezione della frontiera internazionalmente riconosciuta fra Israele e Gaza fu abbattuta in più punti e circa 3000 terroristi bene armati e organizzati, seguiti da molti “civili”, invasero il territorio israeliano, devastando tutto il territorio ai confini della Striscia, uccidendo circa 1200 persone in grande maggioranza civili, inclusi vecchi e bambini, rapendone circa 250, e violentando molte centinaia di donne. Inizialmente vi fu una reazione di solidarietà di tutto il mondo civile, ma essa si indebolì moltissimo dopo la doverosa reazione di autodifesa israeliana e oggi l’opinione pubblica mondiale, o almeno la grande maggioranza dei media e dei politici, sembra essersi dimenticata di quel che è accaduto soli sei mesi fa e lascia soli Israele e gli ebrei a combattere per la loro sopravvivenza.

    Il piano
    Per capire questa dinamica bisogna superare l’orrore provocato dalla crudeltà e dalla barbarie dell’assalto e analizzare quel che è accaduto in termini politici e strategici. Nell’irruzione del 7 ottobre Hamas non era solo, ma era accompagnato da diversi altri gruppi fra cui “Jihad Islamica”, “Martiri di Al Aqsa” (l’ala militare di Fatah, il partito del presidente dell’Autorità Palestinese Mohamed Abbas) e fu seguito pure da “civili” di Gaza, che si macchiarono di alcuni dei crimini più atroci. Ma l’attacco di Hamas non era il frutto di un raptus di follia omicida, era il primo passo scoperto di un piano strategico costruito dall’Iran, condiviso con altri terroristi come Hezbollah e Houti, preparato concretamente per molti anni, accumulando armi e tunnel di attacco, addestrando le milizie, studiando nei dettagli la struttura difensiva israeliana. L’obiettivo dichiarato di questo piano è la distruzione di Israele e il genocidio degli ebrei che ne costituiscono la popolazione. Esso è scattato sei mesi fa perché i nemici di Israele avevano la fondata percezione che lo stato e anche l’esercito fosse stato paurosamente indebolito dai tentativi dell’estrema sinistra di rovesciare il governo legittimo di Israele con il pretesto della riforma giudiziaria: un tentativo che ancora oggi, in piena guerra, incoscientemente o forse colpevolmente si ripete.

    Una guerra lungamente preparata
    Israele dunque non si è trovato solo ad affrontare il più grande attentato terroristico almeno dall’attacco alle Twin Towers di New York, il più feroce femminicidio e rapimento di massa: ha dovuto difendersi da una guerra di sterminio che si propone la sua distruzione. È una guerra multifronte, diretta dall’Iran, con attacchi che vengono da Gaza, dal Libano, dalla Siria, dallo Yemen, dall’Iraq e che si sta tentando di estendere alla Giordania. Lo scontro a Gaza è arrivato a distruggere buona parte delle forze terroriste, ma non ancora a eliminarle del tutto, anche a causa delle durissime resistenze che vengono dagli Usa e dall’Unione Europea; quello con Hezbollah è stato a lungo nella fase dello scambio di colpi alla frontiera ma si sta approfondendo e estendendo. È un grave rischio per Israele attaccare Hezbollah, perché questo movimento terrorista ha missili assai più numerosi e precisi di quelli di Hamas, truppe meglio armate e addestrate e probabilmente fortificazioni sotterranee ancora più potenti e difficili da conquistare di quelle di Gaza; ma il rischio di non eliminare questa minaccia è probabilmente ancora più grave. L’Iran, che è la testa della piovra, è lontano, dieci volte più popoloso di Israele e quaranta volte più vasto, soprattutto è ormai vicinissimo all’arma atomica o già la possiede; non è detto che scelga di entrare direttamente in guerra, anche perché è in piena crisi economica e sociale, ma il pericolo strategico viene di lì. Ma il problema vero del Medio Oriente è sconfiggere la sua aggressività imperialista.

    Guerra giuridica e di opinione
    La guerra si combatte non solo sul terreno (e per acqua e nel cielo), ma anche sul versante legale (grazie alla denuncia di alleati di Hamas come il Sud Africa), su quello diplomatico all’Onu e soprattutto su quello dell’opinione pubblica. Vi è un potente schieramento internazionale per bloccare l’azione di Israele a Gaza e sugli altri teatri di guerra prima che siano raggiunti risultati decisivi come la conquista di Rafah e l’eliminazione della dirigenza di Hamas. Per delegittimare la sua autodifesa, si accusa lo Stato ebraico e in particolare il primo ministro Netanyahu (nuova personificazione dell’ebreo maligno di medievale memoria) di ostinazione insensata, di crimini di guerra, addirittura di genocidio. Sono falsità propagandistiche, nella migliore delle ipotesi ipocrisie e sciocca dipendenza dalla disinformazione in cui si distinguono antisemiti, putinisti, odiatori della libertà e dell’Occidente.

    Le conseguenze
    Bisogna essere chiari: se questa campagna avesse successo e Israele fosse costretto a fermarsi prima di aver eliminato il pericolo, la sua stessa esistenza sarebbe a rischio. Hamas avrebbe dimostrato che è possibile colpire duramente gli ebrei e farla franca, magari con gravi danni ma senza essere schiacciati; conoscerebbe allora una popolarità inaudita non solo fra la popolazione palestinese, ma fra gli arabi in generale; il progetto iraniano procederebbe dal Libano, con nuovi tentativi di azioni simili al 7 ottobre; probabilmente la Giordania entrerebbe nella sua orbita e anche i maggiori stati sunniti ne trarrebbero la conclusione che non ci si può fidare dell’alleanza americana né della potenza militare israeliana per difendersi dall’imperialismo iraniano e che non si può non venire a patti con esso; l’intera costa sud del Mediterraneo fino al Golfo Persico, da buona parte dell’Africa fino ai confini dell’India entrerebbe a far parte della grande alleanza cinese di cui la Russia è oggi un partner subordinato. L’Europa sarebbe accerchiata e minacciata e Est (anche a causa del difficile andamento della guerra in Ucraina) e a Sud, le sue vie di rifornimento sarebbero tagliate; gli Stati Uniti sarebbero di nuovo isolati come durante la Seconda guerra mondiale. La sorte di Israele in particolare sarebbe segnata. Se invece Israele riuscisse a concludere la sua azione fino alla vittoria, non solo Hamas o Hezbollah, ma l’Iran stesso sarebbe contenuto, la posizione filo-occidentale di parte del mondo arabo si confermerebbe, insomma ci sarebbe una decisiva battuta di arresto dell’asse imperialistico Cina-Russia-Iran.

    Proclamare la verità
    Questa è la posta strategica che si continua a giocare oggi da sei mesi e nel prossimo futuro in particolare a Rafah e al confine fra Israele e Libano. Ancora una volta, come diceva La Malfa, il destino dell’Occidente si decide sotto le mura di Gerusalemme. L’opinione pubblica occidentale, ipnotizzata dai media vecchi e nuovi e dalla piccola furberia di politici e pseudo-opnionisti sembra non capire che il gioco la riguarda, che deve appoggiare Israele non solo perché è una democrazia liberale attaccata, lo stato degli ebrei minacciati da una seconda Shoah, ma anche perché dal risultato di questa guerra dipende anche il suo futuro. Spetta a noi, esili ma decise voci ebraiche, spiegare ancora una volta al mondo una verità decisiva.

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