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    Gli ostacoli che l’esercito israeliano deve affrontare

    Una guerra asimmetrica

    L’operazione di Gaza è di difficile interpretazione perché
    non si svolge secondo le modalità di una guerra tradizionale, dove gli eserciti
    avanzano o si ritirano sempre controllando un territorio preciso. Le mappe che
    mostrano le zone della Striscia in mano a Israele non sono cambiate quasi negli
    ultimi giorni: vi è una zona a forma di una lettera “L” maiuscola nella parte
    settentrionale della Striscia, che dall’angolo nordoccidentale della Striscia
    avanza lungo il mare e poi piega verso il confine israeliano, circondando la
    città di Gaza; poi sono stati conquistati l’angolo nordorientale di Gaza in
    corrispondenza di Sderot, un altro stretto corridoio che va verso il mare a due
    terzi della lunghezza della Striscia che chiude l’accesso verso nord di Khan
    Younis e qualche zona qua e là lungo il confine. Il resto è in mano a Hamas, e
    più spesso semplicemente senza controllo. Il fatto è che in questa guerra asimmetrica,
    dove il nucleo delle forze terroriste non si lascia vedere in superficie perché
    è annidato nel sistema delle gallerie e delle grotte artificiali, utilizzando
    anche largamente come scudi i civili, le loro abitazioni e installazioni
    pubbliche come gli ospedali. In questa situazione cercare di delimitare un
    territorio conquistato e tenerlo probabilmente è inutile e anzi molto
    pericoloso se non vengono ripulite le installazioni sotterranee, perché
    facilmente i terroristi possono spuntare alle spalle delle truppe che
    fronteggiano la zona non ancora presa, e fare gravi danni.

     

    Distruggere le installazioni terroriste

    Per questa ragione Israele fa largo uso dell’aviazione e
    dell’artiglieria per distruggere le costruzioni dove sospetta siano annidati i
    terroristi, lavora per scoprire e distruggere le gallerie e i pozzi che vi
    danno accesso. Solo occasionalmente riesce a ingaggiare battaglia con i gruppi
    terroristi che le evitano perché non hanno armamenti pesanti, né carri armati
    né aviazione né artiglieria (salvo i missili che mirano però sempre alla
    popolazione civile di Israele e non ai militari: ieri c’è stato un massiccio
    bombardamento di Beer Sheva). Si è parlato addirittura di un sistema di pompe
    che dovrebbe inondare le installazioni sotterranee per eliminare i terroristi o
    snidarli. Il sistema di guerra dei terroristi è un  “mordi e fuggi”, cui l’esercito deve
    rispondere analogamente.  Insomma il
    lavoro dell’esercito non consiste nella presa di territorio ma soprattutto in incursioni
    mirate a liquidare il sistema difensivo sotterraneo, il che è indispensabile
    per prendere davvero piano piano il possesso di Gaza e liquidare i terroristi.
    Si tratta di un processo lento che implica lo spostamento della popolazione,
    con i conseguenti disagi. Ieri per esempio c’è stato di nuovo combattimento a
    Jabalia, a nord della città di Gaza, dove le forze israeliane erano entrate un
    mese fa. Ma la maggior parte degli scontri è avvenuta trenta chilometri più a
    sud, nei sobborghi di Khan Younis, dove si sospetta si nasconda lo stato
    maggiore di Hamas.

     

    Gli sfollati

    Fra i pericoli della situazione vi è la presenza dei campi
    dove si sono accumulati gli sfollati che Israele ha cercato di sottrarre ai
    combattimenti. Essi sono per ora accumulati soprattutto nell’angolo
    sudoccidentale di Gaza, fra il mare e il confine con l’Egitto, una zona che a
    differenza della vicina Rafah è abbastanza priva di costruzioni e quindi meno
    suscettibile a fare da copertura ai tunnel terroristi. Ma queste folle hanno
    rifugi molto precari, rifornimenti alimentari insicuri, sono in buona parte
    anche fanatizzate contro Israele e sono dunque una massa di manovra
    utilizzabile dai terroristi. La loro stessa presenza, che deriva dallo sforzo
    di Israele di evitare di colpire vittime civili mentre cerca di eliminare le
    fortificazioni terroriste, è usata dai nemici per cercare di ridefinire la
    guerra al terrorismo cui Israele è stato costretto dalla terribile strage del 7
    ottobre, in un problema umanitario che riguarderebbe solo la popolazione di Gaza,
    come se Israele facesse la guerra a loro. Ma è probabile che i terroristi
    possano cercare di suscitarvi movimenti di massa, scagliandole contro le forze
    israeliane col progetto di “tornare a casa” oppure dirigendole verso l’Egitto
    per ottenere che esso faccia pressione su Israele per terminare la guerra. Un
    dato chiaro infatti è che tutti gli Stati arabi e islamici della regione, che a
    parole proclamano la loro solidarietà con i palestinesi, non sono affatto
    disposti ad accoglierli. Sia la Giordania che l’Egitto, stati confinanti con
    Israele, hanno dichiarato che un tentativo di far rifugiare i gazawi nel loro
    territorio è improponibile, anzi sarebbe ragione di guerra.

     

    Giudea e Samaria

    Continuano nel frattempo le operazioni di polizia delle forze
    di sicurezza israeliane in Giudea e Samaria, per evitare che si formino delle
    concentrazioni ostili o vi partano atti di terrorismo. Ieri vi è stata una
    nuova operazione a Jenin, che da tempo è una capitale del terrorismo solo
    nominalmente sotto il controllo dell’Autorità Palestinese. Altre operazioni
    sono proseguite vicino alla linea verde che stabilisce i limiti teorici
    dell’AP, in particolare fra Tulkarem e Qalqilyia.

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