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    Nella piazza di Non una di meno le donne israeliane contano come nessuna

    La mia adesione al corteo di “Non una di meno” a
    Roma è durata pochi minuti. Abbastanza per bocciare quella che doveva essere
    un’iniziativa per le donne vittime di violenza e che purtroppo è diventata una
    manifestazione a senso unico con bandiere palestinesi per giustificare i
    crimini di Hamas. Appena arrivata al Circo Massimo, mi sono infatti imbattuta
    in una ragazza palestinese con una kefia in testa che spiegava per filo e per
    segno che è colpa “dell’occupazione israeliana la radicalizzazione della
    società palestinese dove le donne sono sempre state libere e il 7 ottobre è
    colpa della comunità internazionale che è stata assente e ha voltato le spalle
    al popolo palestinese”. Insomma, è sempre colpa di qualcun altro.

    Di fronte a tante certezze, continuo ad ascoltare
    imperterrita e anche stupita. La ragazza cerca di svicolare sugli omicidi del 7
    ottobre. “La domanda non dovrebbe essere se noi condanniamo Hamas – e qui
    avanza anche un suggerimento – i giornalisti dovrebbero porre la domanda perché
    si è arrivati al 7 ottobre? Perché Gaza era una pentola a pressione che poteva
    esplodere in qualsiasi momento”.

    A quel punto mi permetto una domanda. “Scusa ma per
    te gli stupri delle donne israeliane sono giustificati?”. La ragazza si volta e
    mi dice: “Ho detto questo? Non ho detto questo”. Insisto. “Perché sei qui? Sei
    qui perché è stata uccisa una ragazza italiana, è stata uccisa Saman, sono
    state violentate e uccise anche delle donne israeliane. Cosa pensi di questo?”.
    “Lei mi sta facendo una domanda o mi sta mettendo parole in bocca?”, replica la
    ragazza.

    Intervengono allora i supporter italiani. E un
    anziano signore che dovrebbe manifestare contro la violenza sulle donne ha il
    coraggio di dirmi: “Ma quante sono queste israeliane, ci sono le prove?”. Una
    donna sui cinquant’anni mi intima: “Non rispondiamo alle provocazioni”. Io le
    dico, “scusa ma tu sei una donna, no?”.

    Nel frattempo, passa un’elegante signora con il
    basco che sussurra contrariata: “oggi non ci dovrebbero essere bandiere”. Ma
    intanto i supporter filopal continuano ad aggredirmi e dicono che sono io che
    provoco. L’uomo italiano si lancia in paragoni ormai consueti tra Hitler, gli
    ebrei e il popolo palestinese, tanto non mi trattengono e lo etichetto come
    “antisemita”.

    Alla fine, è la ragazza palestinese a levarsi dall’impasse.
    “Noi siamo contro ogni violenza”, asserisce e qui inanella una serie di notizie
    che dire bugie è anche troppo eufemistico. “Ci sono donne palestinesi che sono
    state violentate all’interno delle carceri israeliane. Se veramente è stata
    stuprata una donna israeliana, come è stato trasmesso dai media israeliani, noi
    chiediamo che parta una commissione d’inchiesta libera e indipendente che
    veramente faccia vedere che sono state stuprate. Perché noi siamo contro ogni
    violenza e non la giustifichiamo”.

    Peccato che questa ragazza non creda ai filmati
    stessi dei militanti di Hamas che non sono stati trasmessi dai media
    israeliani, ma dagli assassini stessi sui social in real time mentre stavano
    compiendo i delitti. Peccato che abbia la certezza che donne palestinesi siano
    state stuprate dentro le carceri israeliane, notizia priva di fondamento.
    Peccato che parli di occupazione quando Gaza è stata restituita ai palestinesi
    nel 2005 e che l’Unione Europea manda aiuti che si intascano i capi di Hamas
    che vivono come nababbi in Qatar e che usano la popolazione civile come scudi
    umani. Me ne vado, una ragazzina italiana con tanto di piercing al naso e sulle
    sopracciglia mi insegue. “Ma lei lo sa che sono state stuprate le donne a Sabra
    e Shatila?”. Io: “E tu lo sai chi ha compiuto il massacro di Sabra e Shatila?”.

    Guardo il Circo Massimo pieno di gente, le uniche
    bandiere sono quelle palestinesi. Avrei preferito quelle rosa, i palloncini
    rosa, gli slogan per la difesa delle donne. Me ne vado disgustata. Mi spiace
    per l’occasione persa, mi spiace per Giulia che dopo morta viene strumentalizzata
    in modo indegno, mi spiace per le donne israeliane torturate, stuprate e
    ammazzate che non sono “una di meno”, ma che in questa piazza contano come
    nessuna. 

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