
Era il 1938, quando Kundan Lal, un facoltoso imprenditore del Punjab, si trovava a Vienna per curare alcuni problemi di salute. Fu lì che incontrò Alfred e Lucy Wachsler, una giovane coppia di ebrei in attesa del loro primo figlio, rendendosi conto personalmente del deteriorarsi della situazione per gli ebrei dopo l’annessione dell’Austria da parte di Hitler.
Così, decise di agire. Senza alcuna autorità, ma con grande determinazione, cominciò a pubblicare annunci su giornali austriaci in cerca di lavoratori da assumere in India: falegnami, tessitori, falegnami e macchinisti. Ma le imprese promesse — “Kundan Cloth Mills”, “Kundan Agencies” — erano soltanto di facciata. Lo scopo era fornire documenti ufficiali necessari per ottenere visti e lasciare l’Europa. Tra il 1938 e il 1939, grazie a quello stratagemma, Lal riuscì a salvare cinque famiglie ebraiche: i Wachsler con il loro figlio neonato, Hans Losch, l’avvocato Fritz Weiss, i fratelli Schafranek e Siegmund Retter, ciascuno con un ruolo professionale riconosciuto nei documenti.
L’arrivo in India fu un momento di speranza ma anche molto duro da affrontare. Ludhiana, nel Punjab, era calda, isolata e priva di una comunità ebraica. Alcuni, come Losch e Weiss, si spostarono subito a Bombay, alla ricerca di opportunità migliori. Altri trovarono il modo di adeguarsi: i Wachsler avviarono un laboratorio artigianale, i Schafranek persino un’industria di compensato, grazie alla generosità di Lal che costruì loro case affiancate. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, la condizione dei rifugiati tedeschi — sebbene ebrei — divenne complicata. Visti come “alieni nemici”, i Wachsler e i Schafranek vennero internati vicino a Pune e poi rilasciati in cambio del loro impegno lavorativo. Entro il 1948, quasi tutti riuscirono a emigrare: i Wachsler negli Stati Uniti, altri in Europa e altrove .
Lal, tornato in India, riprese la sua vita, dirigendo una fabbrica di fiammiferi. Fondò poi una scuola per le figlie, e si dedicò alla sua famiglia. Morì nel 1966, lasciando però dietro di sé una storia rimasta sconosciuta fino a quando il nipote Vinay Gupta non ne ha fatto emergere il racconto nel saggio “A Rescue in Vienna”. Una vicenda di umanità silenziosa, che ribalta la percezione del “bystander” indiano, come estraneo alla tragedia europea. Questo racconto mostra come un singolo individuo, privo di ambizioni politiche o militari, ma dotato di coraggio e creatività, abbia saputo riscrivere il destino di molte vite. Un esempio che ci ricorda quanto la solidarietà non abbia bisogno di grandi parole o gesti pubblici, ma solo di determinazione.