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    Mondo

    Netanyahu all’ONU: discorso trasmesso anche a Gaza tra risultati militari e messaggio agli ostaggi

    Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha parlato oggi all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite in un discorso definito “storico” dall’ufficio del premier, accompagnato da una campagna di comunicazione inedita: la proiezione del filmato delle atrocità del 7 ottobre all’interno del Palazzo di Vetro, l’invito ai delegati a scansionare un codice QR sulla sua giacca per accedere alle immagini del 7 ottobre, e la trasmissione simultanea del suo intervento nella Striscia di Gaza tramite altoparlanti e messaggi SMS inviati direttamente ai telefoni cellulari dei residenti, con traduzione in arabo.

    Netanyahu ha aperto il suo intervento ricordando i risultati conseguiti da Israele al cosiddetto “asse iraniano”: «Abbiamo colpito gli Houthi, distrutto la maggior parte delle capacità di Hamas, ucciso Nasrallah, fatto esplodere beeperim a Hezbollah, demolito l’esercito di Assad e annientato l’apparato nucleare e missilistico balistico dell’Iran». Ha poi ribadito: «Cosa resta dell’asse iraniano? Gli Houthi li abbiamo sconfitti, Sinwar non c’è più, Nasrallah non c’è più, Assad non c’è più. I vertici dell’esercito iraniano – non ci sono più».

    Nel corso dell’intervento Netanyahu ha cercato di rispondere alle accuse internazionali sul piano umanitario, sostenendo che Israele non sta compiendo un genocidio e che gli sforzi israeliani mirano a ridurre le vittime civili. «700.000 abitanti di Gaza sono già stati evacuati verso aree sicure — ha affermato — quale Paese che commette un genocidio cerca di convincere i civili a spostarsi in zone protette?» Ha poi aggiunto: «Israele ha fatto entrare a Gaza oltre due milioni di tonnellate di cibo… davvero una “politica di fame!”».

    Rivolgendosi direttamente agli ostaggi israeliani a Gaza, Netanyahu ha dichiarato in ebraico: «Fratelli nostri, eroi, non vi abbiamo dimenticato neanche per un istante. Non ci fermeremo finché non vi riporteremo tutti a casa – vivi e caduti». Ha poi sintetizzato le condizioni per una rapida fine della guerra: restituzione degli ostaggi, disarmo di Hamas e smilitarizzazione della Striscia.

    In un passaggio informale, il premier ha persino proposto al pubblico un’interazione retorica: «Facciamo un gioco, vi faccio delle domande — chi urla “morte all’America”? Iran, Hamas, Hezbollah, gli Houthi o tutti loro?». Dal palco la risposta riportata è stata «tutti loro!», seguita da Netanyahu: «Risposta corretta!».

    Ha poi affermato che i palestinesi non vogliono uno Stato accanto a Israele ma «uno Stato al posto di Israele», ricordando che «avevano già Gaza e l’hanno trasformata in una base di terrorismo» e avversando la soluzione dei due Stati: «Dare ai palestinesi uno Stato accanto a Gerusalemme è come dare ad al-Qaeda uno Stato accanto a New York. Non lo permetteremo».

    Ampio spazio è stato dedicato anche alla diplomazia regionale. Netanyahu ha detto di credere in un possibile accordo con la Siria «che garantisca la sicurezza delle minoranze come i drusi», e ha rivolto un appello diretto a Beirut: «Se il governo libanese agirà contro Hezbollah potremo raggiungere una pace stabile». Secondo il premier, la vittoria su Hamas «porterà a una massiccia espansione degli Accordi di Abramo».

    La trasmissione del discorso ai cittadini di Gaza è stata definita da Netanyahu un messaggio di chiarezza e pressione: «La guerra può finire subito con la restituzione degli ostaggi, il disarmo di Hamas e la smilitarizzazione della Striscia. Chi lo farà, vivrà. Chi non lo farà, sarà perseguitato».

    Alcune delle famiglie degli ostaggi hanno reagito con durezza. Einav Tzangauker, madre di Matan, ha dichiarato di aver provato «un pugno nello stomaco» sentendo il premier citare il nome del figlio mentre si trova ancora in prigionia a Gaza: «Mentre Matan subisce torture, Netanyahu fa su di lui un giro propagandistico all’ONU». Altre famiglie hanno parlato di «vergogna» per il fatto che il premier abbia menzionato solo parte dei rapiti, quelli vivi, accusandolo di «chiedere al mondo di ricordare il 7 ottobre mentre dimentica 28 ostaggi».

    Il discorso ha avuto immediata eco internazionale: fonti riferiscono che, al termine dell’intervento, il presidente americano Donald Trump abbia detto ai giornalisti che «sembra che avremo presto un accordo a Gaza».

    La giornata alle Nazioni Unite ha così mostrato un Netanyahu deciso a ribadire la linea di Israele: eliminare Hamas, impedire la nascita di uno Stato palestinese che possa minacciare Gerusalemme e ampliare le prospettive di pace partendo da una posizione di forza. La trasmissione del discorso fino a Gaza, insieme alla proiezione delle immagini del 7 ottobre, ha reso evidente la volontà di parlare non solo ai leader mondiali, ma anche ai nemici sul terreno e ai civili coinvolti.
    Ma al centro del messaggio restano soprattutto gli ostaggi: Netanyahu ha ripetuto che Israele non li dimentica neanche per un istante e che ogni sforzo politico e militare continuerà fino al loro ritorno.

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