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    La prima parashà del quinto libro della Torà inizia con queste parole: “Queste sono le parole che Moshè rivolse a tutto Israele al di là del Giordano, nel deserto, nella ’Aravà, di fronte a Suf, tra Paràn, Tòfel, Lavàn, Chatzeròt e Di-Zahav” (Devarìm, 1:1). Apparentemente questo versetto della Torà viene a indicare i luoghi dove Moshè si rivolse al popolo prima dell’entrata nella Terra Promessa.

    Rashì (Francia, 1040-1105) citando i maestri, commenta che questo versetto nasconde delle ammonizioni e che Moshè elencò i luoghi nel quali gli israeliti avevano commesso delle trasgressioni nei confronti dell’Onnipresente. Nel deserto: dove dissero “magari morissimo nel deserto”. Nella ‘Aravà: dove peccarono con il culto idolatrico del Ba’al Pe’or (in italiano: Belfagor).  Di fronte a Suf: quando di fronte al Mar Rosso (Yam Suf) dissero “non vi sono abbastanza tombe in Egitto?”. A Paràn: quando accettarono il rapporto degli esploratori e rifiutarono di entrare nella Terra di Canaan. Tòfel: le parole vane (tafèl) che dissero riguardo alla manna. Chatzeròt: dove avvenne la rivolta di Kòrach. Di-Zahàv:  è un accenno al vitello d’oro (fatto di oro, zahàv).

    Rashì aggiunge che Moshè decise di ammonire il popolo solo nel quarantesimo anno poco prima della sua morte, imparando dal patriarca Ya’akòv che ammonì i figli solo prima di morire.

    R. Moshè Feinstein (Belarus, 1895-1886, New York) in Daràsh Moshè (ed. inglese, p. 275) cita Rashì che scrive che i luoghi menzionati da Moshè nel primo versetto della parashàerano un modo per alludere alle trasgressioni del popolo. Moshè non voleva essere esplicito per non imbarazzare il popolo.

    R. Feinstein fa notare però che più avanti Moshè ammonì il popolo in modo esplicito riguardo al rifiuto del popolo di entrare nella Terra di Canaan. In quell’occasione Moshè disse loro: “Nessuno degli uomini di questa generazione malvagia vedrà la buona terra […] se non Calev, figlio di Iefunnè” (ibid., 35). E ancora più avanti riguardo al peccato del vitello d’oro Moshè disse al popolo: “Guardai ed ecco, avevate peccato contro l’Eterno vostro Dio. Avevate fatto per voi un vitello di metallo fuso: avevate ben presto lasciato la via che il l’Eterno vi aveva prescritto. Allora afferrai le due tavole, le gettai con le mie mani, le spezzai sotto i vostri occhi (ibid., 9:16-17). Perché Moshè parlò con un’allusione all’inizio della parashà se poi ripeté in modo esplicito le stesse ammonizioni?

    R. Feinstein spiega che all’inizio Moshè si rivolse alla nuova generazione nata o cresciuta nel deserto e non a coloro che avevano commesso tutte quelle trasgressioni nei confronti dell’Eterno. Per questo motivo usò un tono pacato usando delle allusioni per menzionare i peccati della generazione precedente.

    Più avanti invece, Moshè ripeté le ammonizioni che aveva già dato alla generazione precedente. Nel fare ciò doveva essere molto più diretto per fare capire quale era stata la gravità dei peccati e la severità delle punizioni. [Il fatto che tutto il discorso venne fatto con la seconda persona plurale anche se nessuno dei presenti erano stati coinvolti nelle trasgressioni descritte, deriva dal fatto che il popolo d’Israele, in quanto popolo, non muore mai. Pertanto in ogni generazione il leader può dire: “avete commesso una trasgressione quattrocento anni fa” anche se nessuno era vivo quando la trasgressione venne commessa]. Nel rivolgersi alla seconda generazione che non aveva commesso queste trasgressioni a Moshè fu sufficiente accennare ai peccati dei padri per sradicare ogni possibilità che essi avrebbero seguito la stessa strada. E fino a quando Moshè non fosse convinto che la seconda generazione fosse immune dalle tendenze che avevano causato le trasgressioni della prima generazione, Moshè decise di ammonirli, anche se per rispettarli si limitò ad accennare alle trasgressioni.  In modo simile la mitzvà di ricordare quello che ‘Amalèk fece ad Israele serve a renderci conto quali terribili crimini possono commettere gli esseri umani. Solo ricordando a quale livello un essere umano può scendere, possiamo evitare di cadere così in basso.

     

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