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SPECIALE PESACH 5784

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    Prendi un tranquillo pomeriggio a Firenze per la presentazione del mio libro su Golda Meir, arrivo alle 18 puntuale da Roma, entro nella splendida libreria Odeon, e incontro la mia interlocutrice, Silvia Guetta, che insegna Pedagogia della Pace e Gestione dei conflitti all’Università di Firenze, una vera “guerrafondaia” direbbero i filopal. Ci indicano il palco. L’organizzatore, Gabriele Ametrano, molto gentilmente ci spiega che è prevista una contestazione e che per questo è stata chiamata la polizia. “Non ho voluto cancellare l’evento perché questa è cultura. Non c’è da preoccuparsi, la presentazione si svolgerà tranquillamente, non sono previste domande”.

    Io mi siedo sul palco e iniziamo a parlare di Golda, ricordo la prima premier donna d’Israele, una socialista sionista, quello che dovrebbe essere un emblema per tutte le donne del mondo. Ma, evidentemente, non per le filopalestinesi che si dichiarano anche femministe. Una ragazza riesce ad entrare e a gridare uno slogan e viene riaccompagnata alla porta. Noi continuiamo a parlare dei rapporti di Golda con Pietro Nenni, l’incontro con Aldo Moro, della visita in Italia, degli anni terribili del terrorismo palestinese e degli attentati in Italia che causarono morti e feriti. Ad un certo punto della presentazione, l’organizzazione mi fa segno con la mano di stringere. Io e Silvia Guetta ci guardiamo e acceleriamo il dibattito. Finiamo, io effettuo il mio firmacopie, poi Ametrano molto carinamente ci chiede se possiamo uscire dalla porta laterale. Ovviamente io eseguo, non certo perché ho paura di quattro ragazzini, tali li considero, chi mi conosce sa che se fossi uscita dalla porta centrale, le mie urla forse avrebbero sovrastato i loro slogan. Essendo giornalista da trent’anni, ho seguito cortei, ho fatto manifestazioni, sono stata in mezzo a scontri, quelli veri, non quelli effimeri creati ad arte per i social. Esco dalla porta laterale per rispetto degli organizzatori e della polizia che trovo assurdo debba essere impiegata per impedire la presentazione di un libro. Da giornalista, però, la curiosità è troppa e mi affaccio per vedere i manifestanti. Una cinquantina di ragazzini sbraitanti che ripetono i soliti slogan senza conoscere la storia.

    Scopro poi che una delle organizzatrici del flash mob contro il mio libro era andata a presentare il suo alla Feltrinelli e l’altra era la moderatrice. A me non verrebbe mai in mente di lasciare l’incontro del mio libro per andarne a contestare un altro. I libri si scrivono, si comprano e si leggono. Se non piacciono, non si comprano. Ma io sono nata nel secolo scorso. Dopo di che, avendo un treno da prendere, mi sono avviata verso la stazione per tornare a Roma.

    Ma le sorprese, per una vecchia femminista come me, non erano finite qui. Vengo a conoscenza che le due influencer si dicono anche femministe contro la violenza di genere, anche se questo non le ha fermate dall’urlarmi contro e dal contestare il libro su una grande donna. Mi domando quindi com’è questo nuovo femminismo social, si è contrari alla violenza di genere solo se il genere la pensa come te. Che si dimentica delle donne israeliane stuprate e uccise in un femminicidio di massa, ma che paradossalmente ha anche il coraggio di scrivere libri sui femminicidi. O che non menziona più quelle iraniane perché meglio non scuotere troppo le alleanze geopolitiche. O che grida a una ragazza di andare via da una manifestazione soltanto perché voleva ricordare le ragazze uccise il 7 ottobre. Non so perché, ma non mi sembra femminismo, mi sembra un’altra cosa, antica… Poi è scoppiato il caso e, da carnefici, si sono presto trasformate in vittime perché, poverine, non mi hanno potuto sputare addosso. E io ovviamente sono stata etichettata come fascista, io, non loro, eh.

    Care femministe social, ve lo dice una vecchia femminista boomer, i libri non si contestano perché è proprio dalla loro censura che nascono le dittature. Come non ricordare il rogo del Talmud del 1553 a Campo de’ Fiori, due anni dopo viene edificato il Ghetto e, siccome gli ebrei sono sempre i primi con cui i regimi se la prendono ma mai gli ultimi, nel 1600 il rogo di Giordano Bruno, sempre in quella stessa piazza. Oppure il rogo organizzato da Joseph Gobbels nel ’33 davanti all’Opera di Berlino per bruciare i libri sgraditi al nazismo.

    Questo è fascismo. Se non si accettano nemmeno le biografie di personaggi storici, di una donna di sinistra, ma qui aleggio un dubbio sull’ignoranza delle nuove generazioni, non si sta pensando a “liberare la Palestina”, no, si sta pensando semplicemente a cancellare Israele. E non mi venite a dire il contrario.

    ITALIA

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    Cultura

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    ISRAELE

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    ISRAELE

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    ITALIA

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    ISRAELE

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    Cultura

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