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    Una guerra asimmetrica
    La logica della guerra asimmetrica è questa: le forze irregolari attaccano, colpiscono i regolari e poi si ritirano evitando la battaglia; se sono inseguite si nascondono e restano pronte a una nuova azione; se possono negoziano tregue che rompono appena lo ritengono conveniente; si rafforzano progressivamente con le adesioni che raccolgono con la loro azione; non perdono se non quando sono state completamente liquidate. Questa è la strategia applicata con successo da Mao in Cina e da Castro a Cuba, fallita invece con Che Guevara in Bolivia. È anche la lezione trasmessa ad Hamas e agli altri gruppi palestinisti dalle scuole sovietiche e cinesi. È una visione strategica applicata ancora in questa guerra con due differenze importanti: che gli attacchi dei palestinisti non mirano ad abbattere un governo ma a distruggere uno stato e a sterminarne la popolazione, quindi, vanno a colpire in maniera terroristica (e non guerrigliera) quasi solo la popolazione civile, fino alla mostruosa barbarie mostrata il 7 ottobre. E poi che il territorio in cui fuggire non è quello immenso della Cina o delle foreste del Sudamerica, ma una piccola regione fortemente urbanizzata, come la Giudea e Samaria e soprattutto Gaza, dove i terroristi hanno cercato di sostituire l’estensione con la profondità degli scavi fortificati e con l’appoggio mediatico e politico internazionale.

    Il criterio della vittoria
    Ma la logica resta la stessa: è una guerra asimmetrica, in cui i gruppi terroristi dopo aver colpito cercano di fuggire e Israele vince solo se li liquida completamente e riprende il controllo del territorio. Perciò Hamas non ha neppure cercato di resistere frontalmente una volta alle forze armate israeliane, non ha mai attaccato battaglia, non ha mai tentato di riconquistare il territorio, ma ha continuato con la tattica degli agguati, del “mordi e fuggi”, degli spari a tradimento, dei missili sulla popolazione civile. Proprio per questa ragione non è molto importante, sul piano strategico, quel che accadrà di Gaza dopo la guerra; il problema di Israele è ottenere una chiara vittoria, liquidando il terrorismo e riprendendo il controllo del territorio abbandonato da Sharon.

    Le proposte per il dopoguerra
    Ma i governi arabi, europei, americani si preoccupano soprattutto della governance di Gaza alla fina della guerra e Israele deve soddisfare queste richieste, anche se la guerra è ben lungi dall’essere finita. Vi sono al momento quattro ipotesi. Una è la continuazione a tempo indeterminato dell’occupazione militare della Striscia. Essa è stata scartata perché politicamente inaccettabile per gli interlocutori di Israele, senza interesse e anzi pericolosa per lo stato ebraico. Vi potranno essere dei luoghi in cui le truppe israeliane resteranno a lungo o per sempre, come il corridoio Filadelfia, e delle zone di terra di nessuno per evitare nuovi attacchi di sorpresa, vi sarà certamente un diritto di intervento securitario dentro la Striscia, che all’inizio sarà esercitato molto spesso; ma anche la soluzione dei ricostruire degli insediamenti, proposta da qualche politico israeliano, non è realistica.

    Altri progetti
    La seconda ipotesi scartata è quella di affidare l’amministrazione all’Autorità Palestinese, come hanno chiesto gli americani, o addirittura a un governo di unità nazionale fra Autorità Palestinese e Hamas, come ha proposto l’Egitto. Non vi è alcuna garanzia che una situazione del genere non faccia crescere di nuovo il terrorismo. Vi è poi la proposta il cui principale sostenitore è un illustre ex diplomatico e studioso del mondo arabo, Mordechai Kedar, di trovare un accordo con le tribù in cui è articolata la popolazione araba in generale, in particolare quella degli arabi che vivono nello spazio geopolitico israeliano e anche quella di Gaza, affidando loro l’amministrazione, ciascuno nel suo territorio tradizionale. La sua realizzabilità dipende da quanto sono disponibili i capi di questi gruppi a collaborare con Israele, e da quanto dopo gli eventi degli ultimi decenni e in particolare il sanguinoso governo di Hamas regga questa struttura tribale.

    Il piano di Gallant
    Infine è uscita ieri una proposta preparata dal ministro della Difesa Gallant, che si articola in quattro punti: in generale i palestinesi gestiranno gli affari civili coadiuvati da una task force globale; si chiede agli Stati Uniti, all’Egitto e ai paesi arabi moderati di guidare la riabilitazione della Striscia.  In primo luogo, Israele fornirà informazioni agli operatori civili a Gaza e sarà responsabile dell’ispezione di tutte le merci in arrivo nella Striscia. In secondo luogo, una task force multinazionale, guidata dagli Stati Uniti in collaborazione con le nazioni europee e arabe moderate, si assumerà la responsabilità della gestione degli affari civili e della riabilitazione economica della Striscia. In terzo luogo, l’Egitto, che è definito come un “attore importante” nel piano, si assumerà la responsabilità dei valichi di frontiera con la Striscia di Gaza, in coordinamento con Israele. In quarto luogo, i meccanismi amministrativi esistenti saranno mantenuti, a condizione che i funzionari non siano affiliati a Hamas. Le autorità locali che attualmente si occupano di acque reflue, elettricità, acqua e distribuzione di aiuti umanitari continueranno a operare, in collaborazione con la task force multinazionale. Come si vede, questo è un progetto di transizione, che non prevede la sistemazione definitiva della Striscia ma riguarda la fase del passaggio al dopoguerra, che certamente sarà lunga e complessa e inizierà fra parecchi mesi. Ma se la vittoria di Israele sarà stata chiara, se cioè la situazione internazionale permetterà di proseguire la caccia ai terroristi e la distruzione delle fortificazioni fino alla completa liquidazione del gruppo terrorista, è probabile che la collaborazione richiesta in particolare agli stati arabi possa arrivare e che tutta la situazione del Medio Oriente evolva verso la stabilità.

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