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SPECIALE PESACH 5784

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    Il 25 aprile è il simbolo di una fine, ma anche di un inizio. E porta in sé tutte le contraddizioni che ci siamo purtroppo portati dietro fino ad oggi. È il giorno in cui fu proclamata l’insurrezione che avrebbe portato alla sconfitta dell’esercito tedesco e del nazifascismo, e la ricomposizione della democrazia fondata sui valori della libertà e del rispetto della dignità delle persone. In primo luogo, dei cittadini e dei loro inalienabili diritti.

    È triste, però, che qualcuno possa contestare la nostra presenza, oggi, a Porta San Paolo come a Via Tasso, perché nessuno più di noi ha diritto a celebrare la Liberazione. La nostra comunità è stata al tempo stesso vittima e testimone dell’orrore nazifascista. Vittima dell’antisemitismo, delle leggi razziali, della persecuzione, della deportazione del 16 ottobre 1943, delle espulsioni dei nostri figli dalle scuole, dei nostri professori dalle Università e dei funzionari pubblici e militari, servitori dello Stato e patrioti italiani, dalle loro scrivanie e uffici, e dei nostri nonni e bisnonni dalle loro case.

    Restano, a ricordare la miseria umana di quei giorni terribili, le pietre d’inciampo, che ottant’anni dopo qualcuno ha perfino avuto il coraggio di imbrattare. Eppure, non ci siamo mai arresi, non abbiamo piegato la testa, furono 5mila i componenti della Brigata Ebraica sotto le bandiere del Regno Unito, tra loro anche italiani, e parteciparono in pieno alla guerra contro i tedeschi, riconquistando l’Italia.

    La bandiera con le due strisce azzurre e la Stella a sei punte che abbiamo visto in queste settimane bruciata e ridotta in cenere nel mezzo di cortei pro-Hamas, era la bandiera della Brigata Ebraica, diventata quella dello Stato di Israele. Noi eravamo (e siamo) dalla parte giusta della Storia, e possiamo dirlo con orgoglio e a voce alta, anche se con l’angoscia e il dolore di una ferita che non potrà mai rimarginarsi del tutto. Noi abbiamo deciso di conservare la Memoria di quelle ingiustizie, di quei crimini, di quella barbarie. Perché non si ripetano.

    Eppure, oggi c’è chi contesta la nostra presenza, nonostante i tanti partigiani ebrei che si opposero al nazifascismo, combatterono e persero la vita. La storia della Resistenza è segnata dal contributo degli ebrei. Oggi, c’è chi vorrebbe cancellarci dalle mappe come dalla Storia. Ma noi ci siamo, e la nostra presenza è il segno della persistenza di un presidio etico importantissimo, in un momento come quello attuale in cui tornano a essere incerti i confini tra il bene e il male. E riemerge l’antico odio antiebraico, l’insofferenza, intolleranza verso l’ebreo in quanto ebreo (“Morte all’ebreo”, abbiamo sentito ripetere nei cortei pro-Hamas) che si manifesta e alimenta nelle Università. E pretende di essere antifascista, mentre si rivela soltanto, inguaribilmente, antisemita.

    Affrontiamo questo 25 aprile con la coscienza limpida di ciò che siamo e che siamo stati. Un baluardo di democrazia, proprio come Israele in un mondo che conosce solo la dittatura e la prevaricazione. Un baluardo di valori che si sono forgiati nella fede ebraica, ricca di insegnamenti morali e del continuo richiamo all’elevazione spirituale dell’uomo, e attraverso la proliferazione di storie concrete di resistenza e eroismo, che confluiscono nella memoria delle nostre famiglie.
    In un certo senso, siamo stati educati all’odio degli altri contro di noi. E siamo orgogliosi della nostra identità, perché proprio l’attaccamento alla nostra identità ci ha forgiato.
    Inoltre, nella festività di Pesach abbiamo lasciato una sedia vuota al tavolo del Seder, una sedia riservata ai fratelli, alle sorelle, che sono ancora ostaggi a Gaza. Per i quali non vediamo cortei nelle strade o comizi alla televisione. La memoria è un peso importante. Soprattutto sulle coscienze. Chi manifesta per la Palestina dovrebbe capire che l’unica cosa da chiedere, per ottenere la pace, è il rilascio immediato degli ostaggi. Ma non lo fa. Per noi, la Memoria è una testimonianza che attraversa le nostre vite e le cambia per sempre. La violenza, di allora come di oggi, può infliggere ferite o anche uccidere. Ma non potrà mai annientare la nostra identità di ebrei e cittadini italiani. E cittadini di Roma.

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