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    Ispirato da una vecchia intervista rilasciata dal Rabbino capo della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Shmuel Di Segni, è mia intenzione mettere in evidenza come la Torà contenga, tra l’altro, elementi ed indicazioni di politica economica sempre validi anche se “mascherati” da un linguaggio che non può essere quello delle moderne scienze sociali.

    È noto a tutti la storia delle sette vacche grasse e delle sette vacche magre (Genesi, 41: 1-57).

    Giuseppe, figlio del patriarca Giacobbe (Israele) arrivato, dopo una serie di peripezie, al cospetto del faraone d’Egitto per intrepretare sogni che nessuno dei suoi maghi era in grado di comprendere, ebbe modo di prevedere che dopo sette anni di abbondanza (le vacche grasse) sarebbero seguiti sette anni di carestia (le vacche magre).  Grazie a questa capacità, di ispirazione divina, di capire il significato profondo del sogno e trovare soluzioni al problema emerso, ebbe dal faraone il ruolo di Viceré attraverso il quale avrebbe dovuto organizzare l’economia del Paese per fronteggiare i momenti di difficoltà previsti.

    Quello che fece Giuseppe fu, sostanzialmente questo:

    1.     nei periodi delle sette vacche grasse requisì una quota del grano raccolto e fece stipare nei magazzini

    2.     durante la carestia distribuì al popolo  il grano conservato 

     

    Come si potrebbe tradurre il tutto secondo un linguaggio degli economisti contemporanei?

    Una prima considerazione è che Giuseppe aveva scoperto i cicli economici ben prima di studiosi del calibro di Joseph Alois Schumpeter (Třešť, 8 febbraio 1883 – Taconic, 8 gennaio 1950), nonché il ruolo dello Stato nell’economia prima di John Maynard Keynes (Cambridge, 5 giugno 1883 – Tilton, 21 aprile 1946).

    Dunque il Nostro nella fase di congiuntura alta fece in modo di evitare gli sprechi e requisì il necessario per la fase successiva, quella di congiuntura bassa.

    L’Italia dal 1963, ovvero ancora nella fase espansiva del cosiddetto “miracolo economico”, incominciò ad ampliare a dismisura il debito pubblico, che crebbe in modo esponenziale negli anni Ottanta del Novecento, un’altra fase di congiuntura alta; nei decenni successivi, nei momenti di massima crisi strutturale oltre che congiunturale, furono adottate politiche deflattive con risultati devastanti.

    Un modo di gestire il debito pubblico alla “A Fra’ che te serve?” di andreottiana memoria, dove gli “sprechi” furono…sostanziosi. Successivamente furono  tagliati i servizi ma non gli “sprechi”.

    Esattamente il contrario di quello che fece Giuseppe.

    Dunque, un problema di classe di dirigente, utilizzando un fastidioso inglesismo, di leadership.

    Cosa serve perché il tutto funzioni alla maniera di Giuseppe?

    1.     Un chiaro e forte ruolo politico per un chiaro e forte mandato politico (il faraone).

    2.     Una classe amministrativa lungimirante e onesta (Giuseppe).

    3.     Una struttura razionale e ben gestita (i magazzini e il sistema di raccolta del grano).

    Oggi abbiamo tutto questo?

    Claudio Procaccia – Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma



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