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    Non tutto ciò che è oro luccica, spesso usanze antiche mutano in tradizioni gioiose e, con il passare dei secoli, si trasformano, come nel caso della bsisa. Per gli ebrei del Nord Africa è una festività propiziatoria, ricorda i giorni felici di quando si impastava la malta per costruire il Bet Hamigdash. Io immagino che provenga dal primo esodo di fuggiaschi dalla Terra d’Israele dopo la distruzione del Primo Tempio. Gli esuli si ricordavano di quando facevano il pellegrinaggio di Pesach a Gerusalemme e, per vincere la tristezza dovuta al fatto che non si potesse proseguire la tradizione, ripetevano uno dei riti del Corban, l’offerta di fior di farina e olio d’oliva profumato con l’incenso che si portava al Santuario.

    Oggi si profuma con il coriandolo. Una sera, mentre mi aiutavo con la chiave di casa ad amalgamare l’impasto versando piano piano l’olio, ho visto riemergere in superficie prima la fede d’oro, poi una mandorla, un pezzetto di noce e uno di dattero. I miei pensieri si sono persi in un ricordo malinconico che è diventato memoria collettiva, quello della prima bsisa che gli ebrei libici hanno dovuto impastare dopo un nuovo esodo nel 1967, dieci mesi dopo avere abbandonato la propria terra per sempre. Tripoli era ormai lontana e molti di noi non avevano né casa né lavoro. Immagino il timore che provavano, il cuore stretto dall’insicurezza e gli interrogativi sul futuro. Ma la tradizione di svolgere comunque quella semplice cerimonia li ha aiutati ad avere speranza. Era soltanto un piccolo rito, magari fatto in una stanza di una pensione di periferia, la frase ripetuta sottovoce in arabo con tutta la famiglia stretta intorno a un piattino. Mentre il filo d’olio amalgamava la malta, avevano come unica certezza che il buon Dio stesse ad ascoltare la preghiera che avrebbe dovuto aiutarli a ricostruire una nuova vita. 

    Senza dimenticare le difficoltà del passato, oggi la bsisa è una festa, ne gioiamo e scherziamo anche sui social. Ogni luna nuova di Nissan si fa la bsisa, pure gli ebrei romani l’hanno adottata come portatrice di abbondanza e noi tripolini ce ne felicitiamo. Non ci resta allora che recitare tutti insieme.

    ‘Ia Fettah la fettah bla’ meftah,

    ‘ia Attai Bla Menna’

    ‘Terzekna’ Uterzek menna’,

    ‘Fettah ia alena, ada am Mabruk alena

    (“Signore, tu che apri senza bisogno di chiavi, tu che dai con mano generosa, tu che dai senza compenso, concedici il tuo bene affinché noi possiamo fare del bene agli altri!”).

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    Cultura

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