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    Esattamente 10 giorni prima dell’attacco terrorista alla sinagoga di Roma che uccise il piccolo Stefano Gaj Taché, nella notte fra il 29 e il 30 settembre 1982, a Milano ci fu un altro attentato antiebraico. Una bomba fu collocata all’ingresso di una delle due palazzine di Via Eupili, nella zona di Corso Sempione, vicino alla grande antenna della Rai, che ospitavano allora gli uffici della comunità ebraica, il Cdec (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea) e una piccola sinagoga che ancora oggi è molto attiva. L’esplosione fu molto potente, abbatté un portone molto solido e devastò l’interno fino al secondo piano. Non fece vittime solo perché avvenne di notte, quando l’edificio era deserto. Un paio di mesi dopo furono arrestati gli autori, tutti italiani appartenenti alla galassia dell’estremismo extraparlamentare di sinistra. I loro nomi sono Cesare Bonetti, Claudio Lamonica, Graziano Bianchi e Claudio Cordini, più i latitanti Franco Fiorina, Pia Sacchi e Federica Meroni, appartenenti a un gruppo effimero derivato da “Prima Linea”, i “Comunisti Organizzati per la Liberazione Proletaria”, capeggiata da Susanna Ronconi.

     

    Fu un episodio molto significativo, ma oggi pochi se lo ricordano anche fra gli ebrei di Milano, perché esso fu certamente meno grave dell’attentato di Roma, su cui si concentrò subito il cordoglio e la rabbia della comunità milanese e che ancora oggi è al centro della memoria di quel terribile momento. Chi però ne fu testimone non l’ha dimenticato. Per esempio lo storico Michele Sarfatti, che è stato direttore del Cdec dal 2002 al 2016: “In quel momento ero appena arrivato e facevo l’archivista al Centro. Ricordo che abbiamo pensato che la bomba fosse diretta proprio contro di noi, anche perché qualche giorno prima un quotidiano ci aveva nominato, sbagliando, fra i centri culturali stranieri, come se noi fossimo l’equivalente per Israele del Goethe Institut o del Cervantes. Niente di male, naturalmente, anche se noi siamo un centro di ricerca italiano. E però forse i terroristi che cercavano un obiettivo israeliano hanno preso questa informazione sbagliata alla lettera e hanno colpito la nostra sede”. Il giurista Giorgio Sacerdoti, che in quel momento era presidente della comunità ebraica di Milano, non è convinto che l’obiettivo fosse così specifico: “Mi sembra difficile che conoscessero così bene l’organizzazione degli uffici. Le due palazzine erano state la sede della scuola ebraica per molti anni, allora erano la sede della comunità e delle istituzioni ebraiche a Milano, la volontà era di colpire tutti. O almeno minacciarci, perché l’attentato ci sembrò subito soprattutto dimostrativo.” 

     

    Certamente l’attentato colse tutti impreparati. “Non era come oggi, – dice Sacerdoti – quand’è normale trovare una protezione delle forze dell’ordine davanti alle sedi ebraiche. Allora era difficilissimo ottenerla anche in momenti particolari come le feste. Non credo affatto che ci fosse una volontà politica che lo vietasse, si era ancora nel periodo del terrorismo interno e gli obiettivi possibili erano troppi. Diverse volte sono andato dalle autorità a chiedere protezione, e mi sono spesso sentito rispondere che non c’era il personale necessario.” “Eravamo decisamente impreparati. Dopo l’attentato venne qualcuno a spiegarci come chiudere le finestre o aprire i pacchi in maniera sicura. Prima non sapevamo fare neppure questo, eravamo completamente vulnerabili” conferma Sarfatti. Ma il clima era allarmante, un mese prima c’era stato un attentato molto sanguinoso a un ristorante di Rue de Rosier nel quartiere ebraico di Parigi, con parecchie vittime… Sarfatti: “Sì, il clima era molto acceso, il problema palestinese era presente dappertutto.” Sacerdoti: “C’erano grandi divisioni e polemiche, anche dentro il mondo ebraico. Avevamo fatto una mozione per chiedere a Israele di spiegare che cosa era successo a Sabra e Chatila, sempre mantenendo il nostro appoggio e la nostra solidarietà. Ma non bastava. L’odio dilagava. C’era stata la manifestazione dei sindacati a Roma con la bara lasciata davanti al Tempio. E anche una importante e coraggiosa risposta di Rosellina Balbi con un articolo amaro e lucido, intitolato Davide discolpati! Ma non ci aspettavamo certo la violenza diretta, né la bomba contro di noi, né gli spari e le bombe a mano contro la folla all’uscita del Tempio di Roma.”

     

     “A Roma furono terroristi palestinesi a colpire, a Milano resti del terrorismo italiano degli anni Settanta. Gente che voleva accreditarsi, mostrare di essere capace di colpire. Probabilmente puntavano non a essere riconosciuti dal terrorismo internazionale, ma da quel che restava delle Brigate Rosse.” 

     

    Come reagì la comunità? “Ci fu grande allarme, ma non panico – dice Sarfatti – Cercammo di fare molta attenzione, di badare se qualcuno ci seguiva o se vedevamo una macchina ferma troppo a lungo davanti agli uffici. Poi venne subito l’assassinio a Roma e anche la reazione diffusa di condanna di quel crimine.” “La città reagì bene – aggiunge Sacerdoti – Ci fu, credo il 12 ottobre, una grande manifestazione promossa dalla Comunità, che sfilò per il centro di Milano. Io mi trovai a prendere la parola davanti alla sede del Comune in Piazza Scala, accanto al sindaco, che allora era Tognoli, un socialista amico degli ebrei e di Israele, a differenza di altri. Fu un grosso evento. Bisogna pensare che in quel momento non c’erano Giornate della cultura ebraica, Giorni della memoria, che noi eravamo abituati a non essere molto visibili, a tenere un profilo basso, com’era tradizione delle comunità.” La comunità di Milano sentì anche molto quel che era successo a Roma, non solo per solidarietà. Il padre del piccolo Stefano aveva studiato alle scuole ebraiche di Milano, aveva molti amici, la sua famiglia era stata parte della comunità, per molti fu una ferita veramente personale. Oggi una cosa del genere non sarebbe più possibile… Sì – dice Sarfatti – la mia sensazione è che la strage di Roma sia stata un punto di svolta, che il clima dell’antisemitismo molto diffuso in quegli anni abbia mostrato allora il proprio volto omicida e che progressivamente sia cambiato l’atteggiamento collettivo. E’ difficile parlare di cause per fenomeni così complessi, ma davvero ostilità che allora erano comuni, oggi sono inconfessabili.”

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