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    Domenica 17 ottobre gli ebrei italiani voteranno per il rinnovo del Consiglio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Shalom ha intervistato i capilista delle 5 liste che si presentano a Roma. Ecco di seguito l’intervista a Manuela Di Porto, capolista di “Ebrei di Roma per l’Unione”.

     

    In che direzione sta andando l’ebraismo italiano? Quali sono le questioni più concrete ed imminenti da affrontare per l’Unione?

     

    L’ebraismo italiano cammina con la società civile. Viviamo in un mondo, sempre più multietnico e che cambia rapidamente, al quale dobbiamo adeguarci con nuovi impegni e difficoltà legate soprattutto all’aspetto demografico e al tema della sicurezza. La sfida consiste nel ricavarci un ruolo rispettabile e autorevole in mezzo alle grandi mutazioni che ci coinvolgono. E, in questo movimento, noi ebrei abbiamo il compito primario di lavorare su due binari paralleli: mantenere le radici ben salde e radicate nel terreno nonché “settare”, modulare, le nostre azioni all’interno della società, affinché l’identità ebraica sia preservata, resti autentica ed esca indenne dai cambiamenti esterni.  

     

    Un compito quotidiano complesso, anche faticoso, che genera orgoglio e, soprattutto, che siamo nati per portare avanti: sta scritto nel nostro patrimonio genetico. Tra le questioni più urgenti da affrontare in Ucei, metto al primo posto l’assistenza alle persone: siamo ancora dentro ad una pandemia che si è abbattuta sulla già violenta crisi economica che aveva investito il nostro Paese. 

     

    C’è bisogno di coraggio e supporto per ripartire e tornare a vivere. L’Ucei troppo spesso è percepita come una realtà lontana: lavoriamo perché diventi più di prossimità, fruibile e tangibile dai nostri correligionari. Comunichiamo di più e in maniera più diretta, anche smart. Daremo peraltro una mano a combattere l’astensionismo alle urne. 

     

    Quanto pensate che conti l’ebraismo ortodosso nella conservazione dell’identità bimillenaria dell’ebraismo italiano?

     

    L’ebraismo ortodosso è un tesoro immenso di tradizioni millenarie e il contenitore della nostra identità, un patrimonio che dobbiamo saper far convivere con chi sceglie di essere ebreo anche in maniera meno osservante, sempre nel rispetto dei valori ebraici e degli insegnamenti dei maestri.

     

    Sul fronte dei giovani, dalle grandi comunità partono ogni anno sempre più ragazzi per Israele, dove intraprendono nuovi percorsi di formazione e anche professionali.  Come si possono aiutare i giovani delle comunità in cui non ci sono scuole ebraiche ad acquisire conoscenze che possano agevolare esperienze in Israele? E come si possono aiutare quelli che restano a vivere in Italia?

     

    A “raggiungere” i ragazzi che vivono in comunità prive di scuole ebraiche oggi ci aiuta tantissimo la tecnologia: anche da remoto si può instaurare un contatto permanente guidato da professionisti, lungo un percorso di accompagnamento multidisciplinare a partire dall’insegnamento della lingua ebraica. Lo stesso discorso vale per chi resta in Italia, coinvolgendo professionalità specializzate nei corsi di formazione e di avviamento al lavoro, come, ad esempio, il digital marketing e l’information technology, utilizzando anche lo strumento della partnership. 

     

    Come portare scuole ebraiche e Bet Haknesset nelle città italiane dove non ci sono?

     

    Le scuole, come i templi, nascono all’interno di comunità attive. L’obiettivo primario deve essere intanto quello di tenere vive, far crescere le comunità, sostenere e rendere attraenti le piccole realtà italiane. La speranza di costruire scuole e templi cresce nei centri dove si coltiva l’ebraismo, la collettività, l’aspetto demografico.

     

    Ciò premesso, l’Italia, in questa fase di pandemia, ha l’occasione di poter utilizzare le risorse previste nel Pnrr (Piano nazionale di ripartenza e resilienza) che ha destinato 5 miliardi di euro all’istruzione, di cui 800 milioni dedicati alle nuove scuole. Nella calamità abbiamo davanti un’occasione importante: i bandi di partecipazione dovrebbero essere pronti già entro il mese di novembre prossimo.

     

    Cosa può fare Roma per le piccole comunità? E cosa vorreste importare del modello Roma nelle altre realtà ebraiche italiane?

     

    Sono membro del Consiglio della Comunità ebraica di Roma da due anni e mezzo e sono alla mia prima consiliatura: in questa prima metà di “mandato del Covid”, che ci ha catapultati purtroppo dentro all’epidemia appena insediati, ho avuto modo riscontrare un buon modello di solidarietà sicuramente da esportare. Tra i consiglieri di più liste, non tutte, è stata creata una rete di supporto ai correligionari. Ognuno ha dato il proprio contributo all’interno della rete: dal monitoraggio, in tempo reale, delle notizie sanitarie utili agli utenti nonché dei quotidiani dati sul Covid in città, all’assistenza sul campo anche in tempi di lockdown, all’istituzione dell’Unità di crisi guidata da medici operativi h. 24. Nessuno è stato lasciato solo né indietro. Ora mi piacerebbe lavorare al progetto di istituire un nucleo di Protezione civile ebraica, sulla traccia di quella nazionale: un’organizzazione riconosciuta e con volontari formati e operativi qualora, speriamo mai più, dovessimo affrontare un’emergenza come è accaduto con il Coronavirus.  Un progetto pilota romano da esportare poi nel resto d’Italia.

     

    In sintesi, quali sono le vostre proposte concrete per gli ebrei italiani?

     

    La tutela della memoria, come impegno morale ed eterno, e il sostegno incondizionato ad Israele rappresentano gli elementi fondanti del nostro programma. Il progetto di creare una struttura dedicata al monitoraggio, alla diffusione e all’assistenza sui bandi europei è un punto programmatico, elemento di novità, a cui teniamo moltissimo. Per i prossimi 7 anni, l’Europa ha messo a disposizione 330 miliardi di euro che potranno essere impegnati in ogni tipologia di attività, settore e materia. L’Unione, e tutte le Comunità d’Italia, devono poter partecipare e accedere alle proposte in grado di migliorare la vita e i servizi, aprire nuovi orizzonti agli iscritti, nonché valorizzare il patrimonio storico e culturale nazionale. C’è spazio per l’imprenditoria femminile e giovanile, le start-up, l’innovazione tecnologica, l’educazione, l’assistenza, i progetti sociali e altro ancora: ci impegniamo perché i fondi che l’Europa eroga siano davvero un’opportunità per tutti. In tale contesto è nostro obiettivo anche sviluppare progetti per i diversamente abili e per la terza età. 

     

    Sempre sul piano sociale, intendiamo sostenere l’alternanza scuola-lavoro a supporto degli anziani delle nostre comunità e dell’infanzia. Inoltre, riteniamo opportuno venga realizzato un albo di fornitori e professionisti correligionari (un elenco online nazionale, diviso per Regioni, che permetterà a tanti lavoratori ebrei italiani di essere la prima scelta, accreditata, per l’affidamento di prestazioni, consulenze e forniture) mentre, a livello culturale, puntiamo sull’impulso di itinerari volti a promuovere le eccellenze enogastronomiche della tradizione ebraica.  Percorsi, all’insegna del gusto, che possano mettere in network anche più Comunità contemporaneamente all’interno dello stesso progetto.

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