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    ROMA EBRAICA

    Kol Israel, La Voce di Sion

    Un commento di Rav Elio Toaff su Yom HaAtzmaut

    Nell’Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma (ASCER), nel fondo intitolato a Rav Elio Toaff, è stato rinvenuto un discorso che fece il Rabbino Emerito nel lontano 1959. In tale circostanza, Toaff pose in relazione due avvenimenti importanti: l’indipendenza dello Stato d’Israele e l’eroica resistenza del Ghetto di Varsavia, indicando in quest’ultimo, quale base ideale per nuova dignità di popolo riconquistata da Israele, il compito del nuovo Stato di raccogliere gli ebrei dispersi e offrire loro un asilo sicuro.

    Queste le parole che pronunciò Rav Toaff in quell’occasione alla collettività ebraica raccolta presso il Tempio Maggiore di Roma nel maggio del 1959:

    «Lo Stato d’Israele è noto come il risultato della volontà comune del popolo ebraico. Le battaglie che hanno accompagnato la sua nascita e che sono costate la vita di tanti dei suoi migliori giovani, furono combattute dai suoi cittadini, dagli ebrei abitanti di quel territorio che, prima dell’esistenza d’Israele come stato sovrano chiamato Palestina […]. I popoli in mezzo ai quali abbiamo vissuto nella dispersione, e anche noi stessi, ci siamo spesso domandati, non avendo una indipendenza nazionale e territoriale, dovevamo essere considerati come popolo o semplicemente una comunità religiosa 9dispersa nei paesi della diaspora? Il sorgere dello Stato d’Israele ha messo fine a questo interrogativo, ed oggi sembra quasi incomprensibile persino di averlo mai posto. Con la nascita di Israele indipendente è cominciato un nuovo capitolo nella storia degli ebrei di tutto il mondo».

    Era un venerdì pomeriggio, quel lontano 14 maggio 1948, quando David Ben Gurion dichiarò l’indipendenza dello Stato di Israele in una riunione conclusasi rapidamente perché prossima all’entrata dello Shabbat: quel sabato sarebbe giunto il primo vero riposo dopo millenni di incertezze.

    I primi ebrei che approdarono, dopo la Shoah in quella terra definita Palestina mandataria (durante la conferenza di Sanremo, 19-26 aprile 1920, si istituì il mandato britannico sulla Palestina), cercarono di costituire delle comunità agricole indipendenti, di stampo socialista ed egualitario. La figura dell’ “uomo nuovo” sionista si contrapponeva alla figura dell’ebreo europeo, debole e rinchiuso nei ghetti. Inoltre, va segnalato che quello della Shoah fu un tema poco affrontato nei primi decenni della storia dello Stato d’Israele. I sopravvissuti, i profughi e i rifugiati ebrei che vagavano in Europa trasferendosi in massa nel nuovo Stato, si rifiutarono in un primo tempo di raccontare gli orrori dei campi di sterminio nazisti perché era troppo doloroso parlarne. Ciò non vuol dire che essa venne cancellata dalla memoria collettiva ebraica. Nei primi decenni dopo la Shoah venivano ritratte dall’opinione pubblica due reazioni degli ebrei, agli antipodi tra loro: quelli che passivamente andarono verso la morte, senza opporre resistenza, e quelli che presero le armi contro i loro persecutori. I primi venivano disprezzati e compatiti, gli altri venivano esaltati come modello di comportamento eroico. Nessuna delle due reazioni era però compresa nella sua complessità e nel suo contesto. Ci vollero anni per metabolizzare il grande lutto subito dal popolo ebraico durante la seconda guerra mondiale, anche per gli stessi israeliani sopravvissuti allo scempio nazista. A seguito anche di ciò si optò quindi per dare corso all’effettiva realizzazione di un memoriale, inteso non solo come una entità di natura museale bensì in quanto struttura pedagogica e formativa, oltre che luogo di ricerca. Il 19 agosto 1953 veniva approvata dal Parlamento israeliano la legge che istituiva l’«Ente per il ricordo dei martiri e degli eroi», comunemente noto come Yad Vashem («Un nome», tratto da Isaia 56,5: «Io darò loro nella mia casa ed entro le mie mura un monumento e un nome [yad va-shem] … che non perirà»).

    Il primo ministro David Ben Gurion in quel fatidico pomeriggio pronunciò queste parole:

    «Quindi noi, membri del Consiglio del Popolo, rappresentanti della Comunità Ebraica in Eretz Israel e del Movimento Sionista, siamo qui riuniti nel giorno della fine del Mandato Britannico su Eretz Israel e, in virtù del nostro diritto naturale e storico e della risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dichiariamo la fondazione di uno Stato ebraico in Eretz Israel, che avrà il nome di Stato d’Israele. Decidiamo che, con effetto dal momento della fine del Mandato, questa sera, vigilia di sabato 6 di Iyar 5708, 15 maggio 1948, fino a quando saranno regolarmente stabilite le autorità dello Stato elette secondo la Costituzione che sarà adottata dall’Assemblea costituente eletta non più tardi del 1 ottobre 1948, il Consiglio del Popolo opererà come Provvisorio Consiglio di Stato, e il suo organo esecutivo, l’Amministrazione del Popolo, sarà il Governo provvisorio dello Stato ebraico che sarà chiamato Israele».

    Se per ogni ebreo della diaspora il giorno di Yom HaAtzmaut, giorno dell’Indipendenza dello Stato d’Israele, ha acquistato un forte significato, per coloro che vivono in quella che viene definita dagli israeliani, Haaretz, la Terra, il senso di questo anniversario è infinitamente più grande. Infatti, solamente chi vive in Israele sa cosa sia la gioia profonda che pervade il popolo durante questa festività: i mezzi di trasporto circolano con le bandiere israeliane poste sulle macchine, i caffè sono aperti, le strade e le case sono imbandierate, si ha veramente la sensazione di un popolo vivo, che gioisce e partecipa a una festa laica ma dai profondi significati simbolici.

    A 76 anni dalla nascita dello Stato ebraico noi non chiudiamo gli occhi di fronte alle difficoltà superate e ai gravissimi problemi che rimangono da affrontare, ma, festeggiando Yom HaAtzmaut, vogliamo cercare di rendere idealmente partecipi coloro che non erano presenti il giorno in cui Ben Gurion proclamò la nascita della nuova realtà statuale. La prima tappa di un cammino ancora, per molti versi, da compiere.

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