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    ROMA EBRAICA

    Una vita al servizio della Comunità. Giacomo Zarfati si racconta in occasione dei suoi 50 anni di carriera

    “Rifarei tutto quello che ho fatto in questi cinquant’anni” spiega a Shalom Giacomo Zarfati, attuale Coordinatore Nazionale della Sicurezza presso l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Nato nel 1950, Zarfati ha vissuto la sua infanzia all’interno dell’allora orfanotrofio del Pitigliani, un luogo che è rimasto nel suo cuore. “È stata la mia salvezza” ha sottolineato, per questo da quattro anni ricopre anche il ruolo di consigliere dell’ente.  “Voglio contraccambiare per quello che loro hanno fatto per me” ha aggiunto.

    Per anni è stato a capo dell’Ufficio Sicurezza della Comunità Ebraica di Roma e del Gruppo Ebraico Volontari, che ogni giorno, insieme alle Forze dell’Ordine, garantisce la sicurezza dei luoghi ebraici della capitale.

    Quella di Giacomo Zarfati è stata una vita al servizio della sicurezza delle comunità ebraiche. In occasione dei suoi cinquant’anni di carriera, Shalom lo ha intervistato.

    Quando inizia il suo lungo viaggio come volontario nelle istituzioni ebraiche?
    La mia attività di volontariato è iniziata nel 1973 con la guerra del Kippur. Fui avvicinato da Lello Vivanti, che mi disse: “Abbiamo bisogno di  ragazzi giovani e volenterosi. Dobbiamo stare fuori alle scuole e alle sinagoghe per garantire la sicurezza”.

    Vista la situazione decisi di mettermi a completa disposizione. Eravamo circa 30 persone, io ero tra i più giovani.

    Dopo la guerra del Kippur resta la necessità di lavorare costantemente alla sicurezza delle comunità ebraiche…
    Gli eventi che si susseguirono negli anni, dal rapimento di Aldo Moro alle attività politiche di estrema destra e sinistra, ci spinsero a rafforzare la nostra presenza presso le istituzioni. A gestire questa organizzazione di volontari c’era Pacifico Di Consiglio, detto Moretto. Fu lui il fautore di questa iniziativa, ci seguiva e ci diceva quello che dovevamo fare. Lui si occupava del coordinamento e di curare i rapporti con la comunità ebraica per capire dove servisse la nostra presenza.

    Poi arriva il 1982, con uno dei momenti più tragici per l’ebraismo romano: l’attentato dei terroristi palestinesi alla Sinagoga di Roma il 9 ottobre, dove ci furono quaranta i feriti e una vittima, il piccolo Stefano Gaj Taché, di soli due anni. Giorni prima dell’attacco lei fu testimone di un momento particolare, ce lo può raccontare?
    Mi trovavo insieme al mio amico Mino Di Porto, anche lui volontario, a Portico D’Ottavia, quando un gruppo di commercianti ci fermò preoccupato per l’attività sospetta di un gruppo di uomini dai tratti mediorientali nella zona. Io e Mino decidemmo di seguirli, per capire cosa stava succedendo e cosa volessero fare. Il gruppo, quando si accorse di noi, si divise: uno si diresse verso Monte Savello, mentre l’altro verso il Teatro Marcello. Seguimmo quest’ultimo, che si diresse verso Villa Caffarelli. Ci guardammo a distanza di circa venti metri. Ancora oggi ricordo i loro volti.

    Cosa successe dopo?
    Mi mandò a chiamare rav Elio Toaff e l’allora Presidente. Rav Toaff mi propose di creare l’ufficio di sicurezza in comunità. Ne parlai con mia moglie e decisi di accettare la proposta.

    Come è cambiata la sicurezza da dopo l’attentato?
    Il Gruppo Ebraico Volontari è cresciuto sempre di più, nel mentre mi sono occupato di creare i rapporti istituzionali soprattutto con le Forze dell’Ordine, ai quali va la nostra profonda gratitudine. Infatti se oggi le istituzioni ebraiche possono svolgere la loro attività in sicurezza è anche grazie a loro. Il mio lavoro è stato svolto sempre a loro fianco e in stretta collaborazione.

    Nel 2018 il Capo della Polizia mi ha consegnato un attestato di benemerenza conferito dal Ministro degli Interni.

    Tornando al volontariato, nel tempo è cresciuto e si è evoluto grazie anche al costante svolgimento di corsi di aggiornamento e formazione.

    Nel 2001, con l’attentato alle Torri Gemelle, l’allora Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, il professor Amos Luzzatto, mi diede l’incarico di creare un coordinamento nazionale, per aiutare anche le piccole comunità.

    A seguito dell’attacco di Hamas lo scorso 7 ottobre, l’antisemitismo in tutto l’Occidente è cresciuto in maniera esponenziale. Le comunità ebraiche italiane come stanno vivendo questo momento?
    C’è molta preoccupazione, il nemico di oggi è lo stesso di ieri, ma adesso ci sono tecnologie diverse. La nostra grande preoccupazione è soprattutto per coloro che si trovano in Israele e che stanno al fronte a combattere per la salvezza dello Stato ebraico e degli ebrei nel mondo.

    Le istituzioni come hanno reagito?
    Il governo e l’apparato di sicurezza dello Stato si sono subito attivati affinché tutte le istituzioni ebraiche a livello nazionale fossero in sicurezza. In questi ultimi mesi i miei rapporti sono quotidiani, la collaborazione con le Forze dell’Ordine è costante.  C’è un’incredibile sensibilità da parte loro nei nostri confronti e non è una cosa sporadica, da anni è così. Per questo non smetterò mai di ringraziarli.

    Come ha capito che questo era il suo mondo?
    Il mondo della sicurezza cambia continuamente, devi essere bravo a capire come sta cambiando e in alcuni casi forse è fondamentale arrivare prima del cambiamento. A Roma e all’interno dell’Unione abbiamo questa grande capacità. Capire e prevenire, questo è il nostro lavoro fondamentale. È per questo che ho creato una rete di collaboratori a livello nazionale che ci permette di seguire giorno per giorno l’evolversi delle situazioni.

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