Il lavoro che resta da fare
Oggi cade il terzo mese dal massacro del 7 ottobre e la guerra è ben lungi dall’essere conclusa. Lo stato maggiore delle forze armate di Israele ha dichiarato che la distruzione delle unità militari terroriste dalla parte settentrionale di Gaza è stata ormai compiuta, e che ora l’esercito lavora per completarla al centro e al sud, dove la situazione è ancora complessa: metà della forza militare di Hamas è stata liquidata, ma restano da eliminare 12 battaglioni ancora funzionanti, cioè fra i 9000 e i 12000 miliziani, collocati prevalentemente a Khan Younis, dove i combattimenti sono avanzati; nel “campi profughi” (che in realtà sono vere e proprie città) di Burji, Nuseirat e Ma’azi, dove le forze di terra stanno cominciando a entrare e infine a Rafah, al confine con l’Egitto, dove ora opera soprattutto l’aviazione. Ma anche dove le formazioni terroriste sono state liquidate, continuano a operare piccoli gruppi, utilizzando le strutture e i depositi predisposti da Hamas per colpire alle spalle le truppo e bombardare Israele. Per esempio ieri unità della Brigata Nahal hanno identificato nell’area di Beit Lahiya nella Striscia di Gaza settentrionale la fonte da cui è stato lanciato un razzo all’inizio di questa settimana nell’area della città israeliana di Ashkelon. Durante l’operazione, è stato individuato un complesso con dozzine di rampe per il tiro di missili.
La vendetta di Hezbollah per l’azione di Beirut
Nel frattempo si aggrava la situazione al confina col Libano. Come “rappresaglia” per l’uccisione del numero due di Hasmas avvenuta la settimana scorsa a Beirut, Hezbollah ha tirato sabato 62 missili sul territorio israeliano e in particolare sostiene di aver colpito le strutture difensive della base militare vicino al Monte Meron, in Galilea, al cui interno si trova l’unità di controllo del traffico aereo 506, una delle tre istallazioni che controllano lo spazio aereo israeliano e avvisano dei tentativi di intrusione. Israele non ha confermato i danni, ma ha reagito distruggendo le istallazioni da cui erano stati tirati i missili e bombardando in profondità le strutture di Hamas. La reazione era prevista, e resta nell’ambito dello scambio di colpi che ormai quotidianamente avviene alla frontiera con il Libano. Gli scontri sono continuati per tutta la giornata.
La missione di Blinken
Oltre al livello militare, sul Libano si concentra l’azione politica, in particolare questo è il tema dominante del quinto viaggio nella regione dopo il 7 ottobre di Antony Blinken, capo della diplomazia americana. Dopo aver incontrato il primo ministro greco a Creta, Blinken ha detto ai giornalisti che la sua missione è assicurarsi che il conflitto in Medio Oriente “non si espanda”, perché se gli sforzi per risolvere la crisi falliscono, il risultato sarà “un ciclo infinito di violenza… e una vita di insicurezza e violenza per le persone della regione”. “Una delle vere preoccupazioni è il confine tra Israele e Libano, e vogliamo fare tutto il possibile per assicurarci di non vedere alcuna escalation”. Chiediamo a “diversi paesi che usino le loro relazioni con alcuni dei soggetti coinvolti [cioè Hezbollah] per tenere sotto controllo la situazione”. Blinken ammette che è molto importante che Israele abbia la piena sicurezza nel nord del paese: “chiaramente non è interessato, non vuole l’escalation … ma devono anche essere pienamente preparati a difendersi”. Dopo la Turchia e la Grecia, Blinken ha visto il re di Giordania. La tappa finale del suo viaggio sarà Israele.
Le dichiarazioni israeliane e la risposta di Hezbollah
Nel frattempo Israele ha trasmesso un messaggio ad Amos Hochstein, inviato speciale del presidente degli Stati Uniti Joe Biden in Libano. Vi si afferma che Israele è interessato al successo della diplomazia nel dirimere le tensioni in Libano, ma se queste dovessero fallire che sarà obbligato a “intraprendere un’azione militare per rimuovere Hezbollah dal Libano meridionale”. Israele ha chiarito che senza la rimozione di Hezbollah dal confine, gli abitanti del nord non potrebbero tornare alle loro case. Nel messaggio. Israele dichiara apertamente che non è ottimista sul successo della iniziativa diplomatica, ma che la accetta anche per “acquisire legittimità” nel caso si arrivi davvero al punto di lanciare un’operazione militare di terra nel sud del Libano. La consapevolezza che sta diventando sempre più chiara tra gli alti funzionari israeliani è che una campagna nel nord – più ampia di quella già in corso – è inevitabile. C’è stata anche una dichiarazione di Netanyahu, che può essere letta in questo senso: “Non dobbiamo fermare la guerra finché non avremo raggiunto tutti i suoi obiettivi. Tre mesi fa Hamas ha commesso nei nostri confronti un terribile massacro. Il governo da me guidato ha ordinato alle forze armate di entrare in guerra per eliminare Hamas, liberare i nostri ostaggi e garantire che Gaza non costituisca più una minaccia per Israele. La guerra non potrà essere fermata finché non avremo raggiunto tutti questi obiettivi. Non concediamo l’immunità ad Hamas da nessuna parte e stiamo lottando per ripristinare la sicurezza sia nel sud che nel nord. Fino ad allora, e per questo scopo, bisogna mettere tutto da parte e continuare uniti fino al raggiungimento della vittoria totale.” La pressione americana per far sì che, secondo la richiesta di Israele, Hezbollah obbedisca alla risoluzione ONU 1701 del 2006 ritirandosi dal confine, è però respinta dai terroristi. Hezbollah ha informato l’alto rappresentante dell’UE, Joseph Borrell, anch’egli arrivato in visita a Beirut per scongiurare la crisi, che non è possibile discutere del caso libanese e degli sviluppi nel Libano meridionale prima della fine della guerra a Gaza.
Giudea e Samaria
Continua intanto anche l’azione di prevenzione del terrorismo in Giudea e Samaria. Ci sono stati scontri molto duri a Jenin, quando una cellula terrorista ha tirato una bomba contro una pattuglia delle guardie di frontiera, ferendo diversi soldati e uccidendo anche una sergente dell’unità, Shai Garmai, di 19 anni. Il gruppo terrorista è stato liquidato. Vi è stato anche un attentato su una strada della regione di Binjamin, in cui è stato ucciso un arabo israeliano.