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    Addio a Guido Di Veroli, sostenitore dell’ebraismo del “fare”

    Guido Di Veroli ci ha lasciato ieri in silenzio secondo quello che è sempre stato il suo stile di vita.

    Ingegnere, figlio dell’ingegnere Ettore, titolare di uno studio che ha realizzato grandi cose in Italia e in Israele, ma non è per questo che lo voglio ricordare. Il suo impegno nell’ebraismo è stato sempre all’insegna del fare.

    Cominciò il suo impegno ebraico partecipando alle attività del CGE e della FGEI ricoprendone anche incarichi di rappresentanza.

    Successivamente, insieme a Bruno Zevi, organizzò la Consulta della Comunità ebraica per cercare di colmare la distanza che c’era tra giunta, consiglio, e base comunitaria. Quella consulta diventò un “laboratorio di pensiero” della comunità di cui anche oggi avremmo bisogno.


    Una dei maggiori risultati di quell’esperienza fu una grandiosa manifestazione di sostegno e di preghiera nei confronti dello Stato d’Israele durante la Guerra dei Sei Giorni. Un evento che fu preso come esempio nell’Europa ebraica in cui si iniziò una importante raccolta di fondi. Dopo queste esperienze giovanili ha ricoperto tantissimi incarichi in varie istituzioni.

    Consigliere e assessore in molte consigliature della comunità ebraica di Roma, consigliere all’Unione delle Comunità Ebraiche italiane, presidente del Benè Berith di Roma.


    Nella comunità di Roma si è occupato di patrimoni, bilanci e cultura. Ebbe un ruolo fondamentale nell’aiutare Daniela Di Castro nella trasformazione del Museo Ebraico di Roma come lo vediamo ora. All’UCEI svolse diversi mandati addirittura ai tempi della presidenza Blayer.

    Fu lui a proporre il dipartimento culturale strutturato in Collegio Rabbinico, Seminario Almagià, Istituto Superiore di Studi Ebraici e DAC.

    Si adoperò molto per la ricerca di fondi per la realizzazione del Centro Bibliografico, progetto molto caro alla Presidente Tullia Zevi.


    Da presidente del Benè Berith risolse brillantemente la “crisi” che si era creata per il tentativo di intitolare una piazza di Roma a Giuseppe Bottai che ebbe un ruolo nelle attuazioni delle leggi razziste del ’38: ebbe l’abilità di coinvolgere anche il figlio del gerarca che allora ricopriva un ruolo importante alla Farnesina, per fargli capire l’inopportunità dell’iniziativa. Sempre durante la sua presidenza realizzò una vera e propria “rivoluzione”: la riforma dello statuto che consentiva l’ingresso nelle logge delle donne.


    Ci sono ancora tantissime cose che sicuramente si potrebbero ricordare, ma l’insegnamento maggiore che si sforzava di dare a noi giovani (allora) consiglieri era che per i grandi progetti dell’ebraismo non bisognava esitare per la carenza dei fondi e della precarietà dei bilanci: in un modo o nell’altro ce l’avremmo fatta. L’importante era puntare alla crescita culturale dell’ebraismo italiano.

    Iehì Zichrò Baruch

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