Skip to main content

SPECIALE PESACH 5784

Scarica il Lunario 5784

Contatti

Lungotevere Raffaello Sanzio 14

00153 Roma

Tel. 0687450205

redazione@shalom.it

Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposta a riconoscerne il giusto compenso.
Abbonati

    Spade di ferro, giorno 25. Minaccia dal Mar Rosso

    La
    dichiarazione di guerra degli Houti

    La notizia più significativa dell’ultima giornata in
    termini strategici è la vera e propria dichiarazione di guerra che il portavoce
    del movimento terrorista yemenita degli Houti, Yahya Sarie, ha pronunciato
    contro Israele, accompagnata dal lancio di un certo numero di missili. Houti è
    il nome di una tribù in Yemen che è la base del movimento terrorista, il cui
    vero nome in realtà è “Ansar Allah”. Bisogna sapere in primo luogo che lo Yemen
    dista da Israele circa 1600 chilometri, come la Finlandia da Roma, e dunque non
    vi è ovviamente contenzioso territoriale fra i due Paesi e non vi può essere
    minaccia da terra (in mezzo c’è l’Arabia Saudita). Ma lo Yemen è un punto
    strategico non solo per Israele, bensì per l’Egitto e l’Europa, perché
    controlla lo stretto di Bab el Mandeb, con una larghezza utilizzabile di solo
    una ventina di chilometri, che consente l’accesso al Mar Rosso e di qui al
    Canale di Suez. L’altro lato è Gibuti. Tutti i rifornimenti petroliferi e le
    merci provenienti dall’Estremo Oriente passano con centinaia di navi ogni
    giorno da queste acque che possono facilmente essere minacciate e bloccate. Lo
    Yemen ha sofferto per decenni di divisioni e guerre civili. Negli ultimi dieci
    anni circa il potere è stato preso dal movimento islamista degli Houti, con
    l’appoggio determinante dell’Iran. Esso ha sviluppato un esercito piuttosto
    forte e anche un’industria bellica. Ha fatto guerra all’Arabia Saudita,
    mettendola in difficoltà con lanci di razzi e droni sulla città di Ryad e sui
    più importanti pozzi petroliferi. Poi c’è stata una tregua che ha tenuto fino a
    qualche giorno fa, quando gli Houti hanno di nuovo aggredito l’esercito arabo
    alla frontiera, provocando alcuni morti.

     

    Una maldestra
    mossa iraniana

    Ora Ansar Allah minaccia Israele e insieme l’Arabia
    coi suoi missili. Qualche giorno fa alcuni di questi proiettili sono stati
    abbattuti da navi americane nel Mar Rosso, dall’Arabia e dall’Egitto; i missili
    di ieri sono stati fermati dai sistemi israeliani. Israele ha anche spostato
    alcune unità navali con capacità missilistica nel Mar Rosso; minaccia implicita
    di una rappresaglia che potrebbe essere anche sostenuta dall’aviazione. La
    mossa degli Houti apre il quinto fronte di guerra dopo Gaza, Libano, Siria,
    Cisgiordania. È evidentemente una mossa iraniana che prova a mettere in
    difficoltà Israele e anche a dare l’impressione di una solidarietà bellica
    fattiva con Hamas che i terroristi si attendevano e che finora è per fortuna
    mancata: l’Iran stesso ha dichiarato ieri di non voler farsi coinvolgere in
    scontri diretti fuori dai suoi confini, per cui fida nei suoi “alleati”, mentre
    le sue forze armate si concentrano sulla difesa del territorio nazionale. Ma è
    probabilmente una mossa maldestra, perché essa ha rafforzato l’asse difensivo
    fra Israele, Arabia e Egitto, che è il grande incubo strategico dell’Iran, e ha
    anche esposto che la pericolosità del terrorismo non si limita a Israele, ma
    colpisce molti paesi fra cui l’Europa.

     

    La situazione
    a Gaza

    L’aviazione israeliana annuncia di aver colpito
    finora oltre undicimila obiettivi terroristi. L’operazione di terra procede.
    Oltre alla manovra per tagliare Gaza City dalla parte settentrionale della
    Striscia, è in corso un analogo “taglio” di Gaza a sud della città: tre diversi
    territori dovrebbero essere isolati e progressivamente attaccati dall’esercito
    israeliano, in modo da eliminare completamente Hamas. Le operazioni urbane sono
    in corso soprattutto al nord, dove le forze di Israele hanno iniziato a
    conquistare le roccaforti terroriste. Purtroppo questa fase della guerra è la
    più difficile e sanguinosa anche per i soldati israeliani. Sono stati
    annunciati ieri prima due, poi altre nove caduti e molti feriti. Con la
    mediazione del Qatar e l’assenso di Israele l’Egitto ha evacuato nell’ospedale
    da campo costruito dalla sua parte del valico di Rafah un centinaio di feriti
    civili palestinesi. Nel frattempo però è stato annunciato che Hamas ha bloccato
    anche l’uscita dalla Striscia degli arabi con doppia cittadinanza (molti
    americani, ma parecchi anche con altri passaporti, fra cui una decina di
    italiani). Non sono prigionieri rapiti come gli israeliani (secondo gli ultimi
    calcoli 240) sequestrati il 7 ottobre, ma anche loro, in un certo senso, sono
    ostaggi. Hamas e gli altri movimenti islamisti considerano infatti gli Usa e
    molti paesi europei come nemici, per aver espresso solidarietà a Israele dopo
    il massacro del 7 ottobre. Per quanto ci riguarda, fra l’altro sono comparsi
    manifesti minacciosi anche contro l’Italia e il primo ministro Meloni ha
    ricevuto molti messaggi di minaccia.

     

    Gli altri
    fronti

    Vi è stata anche una seconda grande incursione a
    Jenin, in Cisgiordania, dove fra l’altro è stato catturato Ata Abu Armila, il
    boss locale di Fatah, il partito di Abu Mazen dittatore dell’Autorità
    Palestinese. È una novità significativa che mostra quanto sia illusorio il
    tentativo di isolare Hamas dall’attività terroristica comune a tutti i
    movimenti palestinisti. Non basterà distruggere Hamas, occorre sconfiggere
    tutto il terrorismo palestinista. Al Nord è continuata la guerra a bassa
    intensità tanto con scambi di colpi tanto con Hezbollah in Libano, quanto con
    la Siria. Sono stati colpiti in particolari i paesi dei drusi, alleati di
    Israele, come al sud di Israele dei villaggi beduini, anch’essi in buoni
    rapporti con lo Stato ebraico. Israele ha risposto colpendo le fonti del fuoco.
    I terroristi di Hezbollah uccisi sono ormai una sessantina. Da Gaza sono
    partiti ancora molti missili, che hanno anche prodotto danni in diverse città
    del centro. Ma naturalmente nessuno dei “pacifisti” che chiedono a Israele di
    cessare la sua azione di autodifesa ha invitato Hamas a smettere di provare a
    uccidere coi suoi razzi la popolazione civile delle città israeliane.

    CONDIVIDI SU: