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    ISRAELE

    Lo stress post-traumatico dopo il 7 ottobre: l’impegno di Israele per i suoi cittadini

    Il Professor Hilik Levkovitch è presidente e direttore del “Merhavim”, il più grande ospedale psichiatrico in Israele, che dispone di 433 posti letto, 11 ambulatori e 5 reparti di day-hospital. Dopo il 7 ottobre l’ospedale è stato in grado di gestire pazienti in una vasta area del Paese prevedendo anche un reparto per le donne che soffrono di disturbi da stress post-traumatico complessi. In questi giorni è venuto a Roma per un incontro al Bet-El sull’emergenza sanitaria in Israele dal titolo “Sette ottobre: dal post-trauma alla speranza, come il sistema sanitario israeliano sta affrontando questa emergenza”. A Shalom il Prof. Hilik Levkovitch ha parlato di come Israele ha gestito la salute mentale della popolazione in seguito all’attacco terroristico del 7 ottobre.

    Qual è la sua analisi sulle principali sfide e sugli impatti psicologici che la guerra ha avuto sulla popolazione israeliana in termini di salute mentale?

    Penso che il popolo israeliano e il popolo ebraico in generale siano molto più resilienti di quanto sembri. L’attacco di Hamas è stato brutale e terribile, sono state fatte cose terrificanti a donne e bambini. Oggi possiamo vedere la resilienza del popolo israeliano. Siamo molto più fortidi quanto mi aspettassi. C’è molto sostegno reciproco e penso che supereremo questa tremenda crisi. La sfida è quella di fornire ambulatori ai pazienti che soffrono di disturbo da stress post-traumatico, depressione e ansia. Sappiamo che in periodi di stress (come nel caso del Covid) si registra un aumento della depressione, dell’ansia e del disturbo da abuso di sostanze. Abbiamo organizzato il sistema, ci siamo preparati, abbiamo aperto un nuovo ambulatorio e reclutato i migliori medici che erano andati in pensione.

    Quali sono i disturbi mentali o problemi psicologici più comuni che si stanno osservando nei pazienti durante questo periodo di conflitto?

    Ci sono più casi di disturbo da stress post-traumatico (PTSD) tra le persone che hanno vissuto la terribile esperienza del 7 ottobre. Penso che si possa riscontrare una esacerbazione di PTSD tra le persone che già soffrivano di preesistenti disturbi da stress post-traumatico, in particolare tra le donne. Vediamo anche molta tristezza. È una questione di cultura: la cultura israeliana ed ebraica vuole individuarsi, vuole vivere, andare al cinema, fare high tech, far parte del mondo occidentale. In altre culture c’è molta crudeltà. È molto difficile per gli occidentali lottare contro una crudeltà come quella del terrorismo.

    In che modo il sistema sanitario israeliano sta affrontando l’aumento della domanda di servizi di salute mentale in risposta alla guerra? Sono state impostate strategie speciali per gestire questa situazione?

    Dopo il 7 ottobre abbiamo diviso Israele in 12 parti e ogni ospedale si è preso carico di un’area. La mia squadra è molto abile e ha preso il controllo di un’area di circa 200 km dove sono state trasferite oltre 6000 persone che vivevano lungo il confine. È stato stupefacente. Sono servite in tutto 48 ore per prendere il controllo dell’area e sole 2 ore di coordinamento. Dopo 24 ore siamo andati sul posto con dispositivi speciali e squadre che si sono prese cura della popolazione. È stato messo in piedi un sistema straordinario di coordinamento tra tutti gli ospedali psichiatrici. Non c’è paese al mondo che possa compiere questo tipo di missione in sole 48 ore.
    Inoltre, l’esercito ha un sistema meraviglioso per prendersi cura del disturbo da stress post-traumatico dei soldati, mentre per gli ostaggi c’è l’ospedale dove viene offerto supporto psicologico. Siamo preparati e abbiamo fatto molta pratica, raccolto informazioni, e disponiamo di psichiatri molto bravi. Sappiamo come affrontare la situazione.

    Sono emerse notizie delle violenze sessuali subite da alcune vittime del 7 ottobre e da alcuni ostaggi. Una parte del mondo continua a dubitare la veridicità di queste informazioni, tanto che si è giunti in alcuni casi a richiedere alle vittime di parlare delle violenze subite, forse anche prima che fossero processate da loro stesse. Quali sono le considerazioni psicologiche ed etiche che dovrebbero essere prese in considerazione quando si affronta la richiesta di confermare pubblicamente le accuse di violenza sessuale subite?

    Per le persone portate via dalle proprie abitazioni è previsto un aiuto molto coinvolgente. Supportiamo questi individui con discrezione. La priorità è sempre il bene del paziente e non il bene del pubblico. Se poi la persona è in grado di parlare e vuole parlare come parte della sua cura, allora va bene.

    ll 30.11.2023 Insieme ad altri dieci amministratori di ospedali israeliani avete scritto una lettera allo Stato israeliano chiedendo la dichiarazione dello “stato di emergenza”. In particolare avete urlato “un grido e disperazione per la difficile situazione del sistema di salute mentale in Israele”. Oggi aggiungerebbe qualcosa a quel testo?

    Abbiamo cercato di collaborare con il governo per prepararci alla situazione. Richiede tempo. Abbiamo anche cercato di aumentare la resilienza dei terapeuti e degli operatori nel campo della psicologia e lavorato insieme su diversi livelli per migliorare la resilienza degli israeliani e la capacità di fornire cure alla popolazione. Penso che vada meglio ora che lavoriamo insieme per migliorare il sistema. Israele lavora sempre in uno stato di emergenza. Come comunità pensiamo che tutti debbano lottare ed essere preparati. Il 7 ottobre molte persone sono andate a lavorare in ospedale. Era un sabato. Abbiamo iniziato a lavorare il 7 ottobre alle 9 e stiamo ancora lavorando. Siamo preparati e pronti a fare tutto.

    Il trauma non è finito con il 7/10 ma continua con la guerra , i razzi, i soldati morti , gli ostaggi , la gente che non torna a casa. Quali sono le strategie di intervento terapeutico più efficaci per affrontare i disturbi mentali legati a eventi traumatici come questo?

    È incredibile come nonostante la guerra e gli allarmi le persone continuino a crescere i propri figli, che i bambini continuino ad andare a scuola. Le persone provano ad andare al cinema e a teatro. Cerchiamo di continuare a vivere con molta tristezza. Raccomandiamo alla popolazione di cercare di mantenere la propria routine: di non guardare troppa televisione e di non cercare troppe informazioni non necessarie. Vediamo tanta tristezza.

    Quali sono le principali sfide o opportunità che gli scienziati israeliani affrontano nel condurre la ricerca sulla salute mentale, considerando il contesto socio-politico e culturale unico di Israele? Ci sono stati progressi degni di nota?

    Penso che la sfida sia quella di fornire a quante più persone possibili le cure necessarie utilizzando anche la telemedicina e la medicina a lunga distanza, raggiungendo tutti con le nuove tecnologie. Ci sono pazienti in tutto il mondo e ciò offre una meravigliosa opportunità agli psichiatri e psicologi di operare in ogni luogo di Israele. Un’altra sfida è quella di sostenere la salute mentale dei bambini e aiutarli a continuare la loro vita. È ciò che stiamo facendo. In Israele ci sono molti bambini: in ogni famiglia ci sono in media dai 3 ai 4 figli. Molti degli operatori sanitari vengono in ospedale con i loro figli. Abbiamo istituito nuovi asili nido, nuove scuole all’interno e vicino agli ospedali per aiutare i bambini e in momenti difficoltà o tristezza andiamo a vedere il giardino dei bambini. È così bello e penso che sia il futuro. Dobbiamo investire nella salute mentale di questi bambini.

    Quale messaggio vuole lasciare?

    Viviamo in Israele, un Paese occidentale. Dopo il 7 ottobre abbiamo dovuto affrontare il problema degli ostaggi e delle persone allontanate dalle proprie case. Ho deciso di rivolgermi alle persone della mia età. Si tratta della seconda generazione di sopravvissuti alla Shoah e ho chiesto a ciascuno di loro cosa ricordano dei propri genitori, di come hanno affrontato la Shoah dopo aver perso i genitori. Da ciò possiamo imparare che per affrontare questa situazione sono importanti le relazioni tra i giovani. È il caso di mio padre che aveva perso la famiglia nello sterminio nazista e prima di arrivare in Israele ha fatto una sorta di riabilitazione in Germania insieme a 25 bambini come lui. Dalla seconda generazione ho imparato ciò che loro stessi hanno imparato dai loro genitori. Otteniamo queste informazioni e proviamo a trasmetterle ai giovani che hanno vissuto questo tipo di situazioni.

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