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    Spade di ferro – Giorno 11

    La strategia autonoma che si chiarisce

    Col passare dei giorni è sempre più chiaro. Israele non intende in nessun modo farsi dettare i tempi e i modi della propria controffensiva da nessuno, né dagli alleati né tanto meno dai nemici. Sono in molti ad avere fretta che l’esercito israeliano inizi e magari concluda subito la propria azione di terra a Gaza: Hamas innanzitutto, che ha certamente preparato molte trappole mortali per i soldati e ora si trova nella scelta se languire nell’inazione al rifugio dei tunnel e vedere progressivamente le sue strutture neutralizzate dagli attacchi aerei senza reagire, o far uscire i propri effettivi e lasciarli colpire com’è ormai successo a centinaia di terroristi di vario rango e ad almeno una mezza dozzina di capi di alto livello. Ma anche coloro che sono pronti a chiedere la tregua lamentando i danni alla popolazione civile e ora si trovano a dover considerare la precisione di mira dell’aeronautica israeliana; coloro che vorrebbero portare sostegno “per motivi umanitari” a Gaza, e cioè in realtà ai terroristi, come condizione di liberazione non degli ostaggi ma dei cittadini stranieri che vivevano a Gaza (evidentemente ben accetti dai movimenti terroristi che l’hanno governata finora) e che si vedono negato questa mossa “umanitaria”. Insomma Israele inizierà l’operazione di terra e consentirà i “soccorsi” quando lo troverà opportuno, e cioè in sostanza quando considererà esaurita l’utilità del martellamento dell’aviazione sui luoghi utili ai nemici, inclusi tunnel e sotterranei di ospedali, moschee e scuole.

     

    Due episodi

    Questa decisione di seguire una linea autonoma non prevista dal nemico e la sua utilità sono dimostrata da un paio di episodi avvenuti ieri. Uno è l’annuncio dell’apertura del valico di Rafah fra Gaza ed Egitto, annunciato da un comunicato egiziano, di Hamas e perfino americano, che doveva essere la base di uno scambio fra cittadini stranieri (non gli ostaggi, come ho già detto) e centinaia di camion di rifornimenti per Gaza, che sarebbero certamente pervenuti a Hamas, di cui era già stato dato per scontato l’assenso di Israele e che invece è stato clamorosamente smentito dai bombardamenti delle forze aeree sullo stesso valico. Il secondo è una rapina di carburante e altri beni essenziali ai danni dell’UNRWA commessa dai terroristi, denunciata sul sito della stessa agenzia dell’Onu notoriamente molto ben disposta verso Hamas. La denuncia è subito sparita dal sito, a testimonianze del potere di ricatto che i terroristi hanno su questa agenzia, o della complicità che i suoi vertici hanno nei loro confronti, come si è visto dai molti materiali con sigle delle Nazioni Unite rimaste sui luoghi dell’aggressione. Ma senza dubbio è avvenuta ed è un indizio che fa pensare che il blocco e il martellamento israeliano funzioni bene.

     

    La cronaca

    Oltre ai bombardamenti dell’aviazione israeliana, che hanno colpito come sempre strutture terroriste e singoli responsabili, ci sono state diverse ondate di lanci massicci di missili, sia sulle città e sui villaggi prossimi a Gaza, sia sulla zona di Tel Aviv e anche di Gerusalemme, senza peraltro gravi danni. Sono continuati anche gli scambi di colpi con Hezbollah, che però hanno conservato un carattere dimostrativo, senza svilupparsi in combattimenti veri e propri. Anche il fronte interno a Israele sembra tenere bene: vi sono tentativi di azioni terroriste provenienti dalle città di Giudea e Samaria, ma sono abbastanza occasionali e ben controllati dalle forze di sicurezza. Non si sono verificate invece finora le temute (e molto richieste da Hamas) esplosioni di  violenza nelle città miste di Israele come Lod, Haifa, Acco. La massiccia mobilitazione militare israeliana le ha evidentemente evitate.

     

    L’azione diplomatica

    Sul fronte diplomatico, è da registrare soprattutto l’azione americana. Il Segretario di Stato Blinken, dopo aver incontrato le autorità dell’Arabia saudita è tornato in Israele e ha partecipato a un gabinetto di guerra; Netanyahu ha invitato Biden a una visita di solidarietà in Israele e il presidente americano ha accettato: la visita potrebbe svolgersi addirittura domani mercoledì, condizioni di sicurezza permettendo. Nel frattempo Netanyahu ha avuto un incontro telefonico con Putin, che certamente non dev’essere stato piacevole per nessuno dei due, viste le prese di posizione russe in appoggio ad Iran e al “popolo palestinese” che sarebbe messo in pericolo dall’ “eccesso di reazione” israeliano. Non sappiamo e probabilmente non sapremo per molto tempo quel che si sono detti i due leader; ma si può essere sicuri che il primo ministro israeliano abbia centrato di convincere il presidente russo a non appoggiare più gli assassini, che in questo momento stanno subendo anche una dura lezione.

     

    Le autocritiche

    Vale la pena di citare anche il fatto che due personaggi importanti nella politica israeliana si sono assunti la loro parte di responsabilità nel disastro di sabato 7. Uno è Bezalel Smotrich, capo dei sionisti religiosi e ministro, che non ha controllo diretto sui servizi di informazioni e sull’esercito, ma ha ammesso la responsabilità del governo; l’altro è Ronen Bar, capo dello Shin Bet, che invece è il responsabile della sicurezza interna di Israele. E’ un processo di autocritica importante, che per il momento è solo episodico, ma andrà certamente fino in fondo dopo la fine della guerra, per accertare errori personali e strategici.

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