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    Spade di ferro giorno 14: il rischio di nuovi fronti

    Razzi dallo Yemen

    La novità più significativa dell’ultima giornata consiste in uno sparo di missili e droni contro Israele effettuato dagli Houti dello Yemen. Gli Houti sono un gruppo tribale fortemente islamista che ha condotto negli ultimi vent’anni una guerra civile in Yemen, sconfiggendo il regime precedente e mettendo in difficoltà anche la confinante Arabia Saudita, che ha cercato invano di bloccarli con bombardamenti e interventi militari. In diverse riprese gli Houti, massicciamente armati dall’Iran, sono riusciti a bombardare a loro volta alcuni dei principali impianti petroliferi dell’Arabia e a colpirne anche la capitale Ryad. Ieri notte gli Houti hanno tentato di fare arrivare i loro proiettili su Israele, che dista 2500 chilometri. Come se l’Italia, scontenta della politica finlandese, mandasse bombe su Helsinki. Inutile dire che non vi sono rivendicazioni territoriali reciproche. Gli ebrei hanno abitato in Yemen per quasi 3000 anni, dai tempi di Salomone e della Regina di Saba, nel medioevo c’è stato anche un regno ebraico da quelle parti, e vi è stata una grande tradizione culturale e religiosa; ma gli ebrei yemeniti sono stati progressivamente costretti ad abbandonare il paese con terribile violenze dopo la fondazione di Israele e gli ultimi sono riusciti fortunosamente a scappare qualche anno fa. I proiettili degli Houti sono stati abbattuti da navi americane e uno sembra anche dai sauditi, il che è significativo. Il tentativo degli Houti è degno di nota non solo perché certifica la volontà di aprire un terzo fronte, ma perché si tratta di un movimento completamente controllato dall’Iran.

     

    Il fronte settentrionale

    La stessa cosa si può dire naturalmente di Hamas e della Jihad Islamica a Gaza, ma anche degli Hezbollah che hanno la loro base in Libano e altre forze in Siria, dove collaborano con l’esercito siriano. Il fronte libanese si è progressivamente acceso in questi giorni: i terroristi di Hezbollah hanno sparato razzi anticarro contro le forze israeliane in numero crescente e hanno anche usato proiettili più potenti. Ma sono rimasti nei limiti degli incidenti di frontiera. L’esercito israeliano ha fatto attenzione a rispondere sempre tiro su tiro usando l’artiglieria, distruggendo le istallazioni terroriste da cui erano partiti gli attacchi, senza però mai fare nulla che innalzasse il livello dello scontro. Non è certo interesse di Israele che si apra davvero un secondo fronte, sia perché lo obbligherebbe a dividere le forze, sia perché Hezbollah è molto meglio armato e organizzato di Hamas e, se intervenisse davvero, sposterebbe il baricentro della guerra fra Libano e Galilea. La scelta comunque non sarà fatta dai movimenti terroristi dipendenti, ma dall’Iran che li comanda. E’ a Teheran che si deciderà se fare entrare in guerra davvero Houti e Hezbollah, che per il momento esibiscono solo rumorosamente la loro ostilità ad Israele. Se l’Iran lo facesse, rischierebbe una grande guerra regionale, che probabilmente potrebbe fare danni notevoli a Israele, ma probabilmente finirebbe con la distruzione dell’impero che gli ayatollah si sono costruiti nello scorso decennio fra Iraq, Siria, Libano e Yemen, toccando certamente anche il loro yterritorio. La presenza in zona della grande flotta americana che comprende oltre 15.000 militari e schiera due portaerei e decine di navi moderne è stata decisa proprio per scongiurare questa prospettiva. Ma essa non è esclusa, tant’è vero che molti stati hanno invitato i propri cittadini, compresi i diplomatici, a lasciare rapidamente il Libano.

     

    L’operazione di terra

    Il punto di svolta potrebbe essere l’ingresso delle truppe israeliane a Gaza. Già ora vi sono squadre speciali che si spingono oltre la barriera di sicurezza per cercare tracce dei rapiti (ormai il loro numero accertato è sopra i 200) e per rilevare gli appostamenti terroristi. Ma è chiaro che finora la tattica di Israele è stata di far precedere l’azione di terra da una massiccia opera di distruzione delle istallazioni militari di Hamas per mezzo dell’aeronautica, e questa azione continua anche adesso. Ma purtroppo non basta: il nucleo della forza terrorista (le truppe, i centri di comando, le rampe di lancio dei missili, i magazzini di armi e anche i luoghi in cui sono sequestrati gli ostaggi) è nascosto sottoterra, nella “metropolitana di Gaza”, centinaia di chilometri di gallerie di diversa dimensione e livello, affondate a decine di metri sotto il livello del suolo e quindi difficili da distruggere con le bombe degli aerei. Sono tortuose, minate, piene di trappole, difficilissime da conquistare, costruite in maniera tale da consentire agguati e assalti di sorpresa sia nel sottosuolo che dagli sbocchi in superficie. I terroristi le conoscono a menadito, i soldati di Israele ne conoscono poco. E’ questo il grande ostacolo e anche il centro del potere militare dei terroristi. Bisognerà conquistarlo passo a passo, in un’operazione lunga mesi e probabilmente molto difficile e  sanguinosa, ma inevitabile se davvero si vogliono liquidare i gruppi terroristi. Quando l’esercito israeliano fosse impegnato in questo difficile compito, gli ayatollah potrebbero decidere che è arrivato il momento di cercare di colpire Israele aprendo un altro fronte. Il Gabinetto di Guerra e lo Stato Maggiore israeliano conoscono bene questi rischi e certamente stanno cercando di far arrivare il paese e l’esercito preparati al meglio ad affrontare la battaglia.

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