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    Ancora notizie orribili dal 7 ottobre: le barbarie di Hamas sui rapiti e la speculazione finanziaria prima del pogrom

    La difficoltà della liberazione dei rapiti
    Si è svolto ieri un incontro ufficiale fra il gabinetto di
    guerra e alcuni rapiti e parenti dei rapiti, che hanno chiesto al governo di
    dare la massima priorità alla liberazione dei sequestrati che restano nelle
    mani dei terroristi, circa 138 secondo gli ultimi calcoli. Netanyahu ha
    risposto dicendo che lo sforzo per far tornare a casa i rapiti è al centro
    dell’azione militare, ma che purtroppo non si sente di assicurare che tutti
    saranno salvati. Disgraziatamente questa è una preoccupazione molto concreta,
    anche a causa del ritrovamento di alcune salme di rapiti che sono stati uccisi
    a Gaza dopo il loro sequestro, quando erano nelle mani dei terroristi. Anche i
    racconti orribili delle crudeltà, delle violenze sessuali, delle mutilazioni
    che continuano a emergere sul 7 ottobre e quelli sul trattamento inumano e
    sadico cui sono stati sottoposti i rapiti alimentano questa preoccupazione.
    Ieri il portavoce del Dipartimento di Stato americano (equivalente al nostro
    ministero degli Esteri) ha detto che una delle ragioni per cui Hamas avrebbe
    interrotto le trattative per un nuovo scambio fra rapiti e il prolungamento
    della tregua potrebbe essere stato il fatto di essersi resi conto di quanto
    colpiscano le testimonianze dei rapiti, in particolare delle donne e dei minori.
    Hamas dunque non vorrebbe a ogni costo lasciare che emergano altri esempi della
    sua barbarie. Fatto sta che altri scambi di sequestrati non sono prevedibili
    ora, non per scelta di Israele, che già una volta ha fatto passare in seconda
    linea le ragioni militari della campagna e anche il rischio della scarcerazione
    di pericolosi terroristi condannati per atti di violenza molto gravi, rispetto
    alla possibilità di riavere liberi i rapiti. È Hamas che, dopo aver rotto la
    tregua, rifiuta ora ogni trattativa. In una dichiarazione di Osama Hamdan,
    rappresentante dell’organizzazione terrorista in Libano, si legge: “Non ci
    saranno negoziati finché non si fermerà l’aggressione a Gaza”. Cioè
    sostanzialmente Israele si dovrebbe completamente fermare non per ottenere i
    rapiti, ma nella speranza che si apra una nuova trattativa, in cui
    evidentemente Hamas non avrebbe più ragioni per lo scambio.  Il terrorista tenta di mistificare
    completamente la situazione, come avevano fatto già gli aguzzini di Gaza
    dettando appelli contro il premier israeliano ai loro prigionieri:
    “Riterremo Netanyahu responsabile della vita” dei rapiti detenuti
    nella Striscia di Gaza. Hamadan inoltre afferma che “gli Usa sono
    responsabili dei massacri” per “la fornitura d’armi” allo Stato
    ebraico. È chiaro che siamo di fronte a un rovesciamento completo della realtà:
    come se le bande che anche in Calabria e in Sicilia qualche decennio facevano
    soldi coi sequestri di persona avessero detto che la vita delle loro vittime
    era messo in pericolo dalla polizia e non dalla loro criminale attività.


    Le speculazioni finanziarie intorno al 7 ottobre
    Sul 7 ottobre emergono sempre nuovi terribili dettagli. Non
    solo sulle sevizie inflitte dai cinque gruppi terroristi e dai “civili” di Gaza
    che vi hanno partecipato, e neppure sugli errori dei servizi informativi che
    avevano larghi indizi del pericolo, ma i cui capi non furono capaci di trarne
    le conseguenze – un tema su cui in questo momento vi è un ampio dibattito in
    Israele, che proseguirà certamente con inchieste e dimissioni dopo la fine
    della guerra. Un altro dettaglio inquietante è emerso negli ultimi giorni ed è
    ora oggetto di indagine tanto negli Stati Uniti che in Israele. Immediatamente
    prima del pogrom, il 6 ottobre e nella notte successiva, avvenne un intenso
    movimento speculativo con vendite allo scoperto di azioni delle principali
    aziende israeliane quotate a Wall Street. In pratica questo significa che
    qualcuno ha venduto azioni delle aziende israeliane lucrando del prezzo normale
    che valeva prima del pogrom; ma queste azioni al momento non le possedeva,
    com’è consentito fare secondo le regole borsistiche; ma doveva però comprarle
    entro un termine fisso per “ricoprirsi” delle vendite. Questa manovra di
    vendere ciò che non si possiede, un po’ bizzarra fuori dal mondo sofisticato
    della finanza, ha senso quando si scommette che certe azioni caleranno di
    prezzo entro l’intervallo fra vendita ed acquisto, sicché lo speculatore
    guadagna sulla differenza fra il prezzo anteriore di vendita e quello
    successivo di acquisto. Il fatto che questo sia accaduto alle azioni israeliane
    intorno al 7 ottobre significa che qualche operatore di borsa o suo cliente
    aveva avuto notizia di un possibile disastro in Israele, che avrebbe fatto
    crollare i prezzi. Forse è la stessa organizzazione di Hamas, abituata a
    finanziarsi con operazioni spericolate sul mercato della droga, ad aver
    speculato in borsa sul suo stesso attacco; o l’hanno fatto per interesse
    privato i suoi dirigenti, che rubando gli aiuti internazionali hanno raggiunto
    ricchezze di miliardi di dollari; oppure per qualche via la notizia ha
    raggiunto degli operatori amici. Fatto sta che non solo si tratta di un reato
    finanziario, ma di un altro indizio che la possibilità della strage era nota a
    parecchie persone – e purtroppo queste notizie non sono state prese sul serio
    da chi doveva prevenirla.


    L’operazione prosegue
    Le operazioni sul terreno proseguono secondo la linea degli
    ultimi giorni: ancora scontri al nord e in Giudea e Samaria, ancora potenti
    azioni militari dell’esercito a nord (Jabalyia) e a sud (Khan Yunis) della
    Striscia; ancora concentramenti di sfollati al confine dell’Egitto; ancora
    caccia ai vertici di Hamas (oggi si parla di un tentativo di fuga in Egitto a
    partire dalle moschee di Rafah, che sono difficili da colpire, perché a Rafah
    c’è il valico con l’Egitto da cui passano tutti i soccorsi umanitari). A Rafah
    c’erano moltissimi tunnel di contrabbando con l’Egitto, che furono chiusi
    alcuni anni fa dalle autorità egiziane allagandoli con acqua di mare (la stessa
    tecnica che si dice Israele voglia sperimentare adesso a Gaza City) e poi
    sigillandoli. Ma è possibile che alcuni siano ancora percorribili. Naturalmente
    poi dipenderebbe dagli egiziani che fare dei terroristi.

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