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    Un bilancio della guerra, rischi e possibilità

    La guerra non è andata come Hamas pensava – ma è sua
    responsabilità
    Passati ormai i due mesi di guerra, è possibile trarne un
    bilancio e tentare qualche previsione. Il punto di partenza è ben noto, ma
    sempre sottovalutato dai nemici di Israele: lo Stato ebraico non ha voluto
    questa guerra, anzi disastrosamente non l’aveva nemmeno prevista e neppure
    cercata attivamente di prevenire. Se c’è un conflitto militare oggi, se ci sono
    vittime anche civili, se gli insediamenti di Gaza sono stati bombardati, la
    responsabilità è solo di Hamas, che ha deciso una strage e dei sequestri di
    persone cui nessuno stato al mondo, anche il più pacifista, non poteva non
    reagire con le armi. Anche Hamas ha sbagliato i conti, però: forse si aspettava
    una maggiore autodifesa iniziale israeliana, ma non l’entità della reazione
    successiva. E soprattutto prevedeva che la strage sarebbe stata la scintilla
    capace di far scoppiare una rivolta fra i sudditi dell’Autorità Palestinese e
    una guerra regionale con l’appoggio concreto degli altri satelliti dell’Iran:
    Hezbollah, innanzitutto e poi esercito siriano, ribelli iracheni, Houtis dello
    Yemen. Israele, attaccato da tutte le parti, sarebbe stato in gravi difficoltà.
    Non è accaduto. Gli arabi israeliani non hanno fatto nulla per appoggiare
    Hamas; i terroristi nei territori dell’Autorità Palestinese hanno cercato di
    muoversi, ma sono stati bloccati dall’azione decisa delle forze di sicurezza;
    Hezbollah, siriani, iracheni, Houti e in definitiva l’Iran stesso hanno fatto
    poco o nulla: azioni dimostrative senza impatto sulla guerra. Il gruppo
    terrorista che potrebbe davvero mettere in difficoltà Israele se usasse tutto
    il suo armamento missilistico, cioè Hezbollah, ha provocato ogni giorno degli
    incidenti, tirando missili anticarro contro posizioni e veicoli israeliani. Ha
    fatto qualche danno a cose e persone, pagando il prezzo di un centinaio di
    miliziani liquidati, ma sostanzialmente ha lasciato Hamas alla sua sorte.
     
    Una nuova tregua?
    Questo destino è la sconfitta. Circolano le immagini delle
    prime rese di massa fra i terroristi: decine di uomini seduti a terra, lasciati
    in mutande per evitare che possano nascondere armi, che comunque preferiscono
    la prigionia e l’umiliazione alla morte sicura. Ormai è chiaro che Hamas è
    destinato a essere distrutto a Gaza, salvo che non intervenga a salvarlo
    qualche blocco dell’azione militare. Questi blocchi possono essere di due tipi.
    Il primo caso è una nuova tregua “temporanea” in cambio della liberazione di
    rapiti. Il quotidiano del Qatar Al-Arabi Al-Jadeed – una fonte certamente
    interessata, perché il Qatar è alleato dell’Iran e grande protettore di Hamas –
    ha sostenuto, citando fonti egiziane vicine all’organizzazione dei negoziati
    tra Israele e Hamas, che il governo israeliano avrebbe recentemente tentato di
    concludere un nuovo accordo. Secondo la pubblicazione, una fonte egiziana ha
    affermato di aver assistito ieri a un ritorno dei funzionari israeliani
    coinvolti nei negoziati in Egitto e ai loro contatti per “tastare il
    terreno” e determinare il grado di possibilità di un un nuovo accordo per
    lo scambio di parte dei rapiti israeliani a Gaza con carcerati palestinesi e un
    cessate il fuoco temporaneo. Secondo la fonte, ci sarebbe stata una
    “trasformazione improvvisa” dell’atteggiamento negoziale da parte
    israeliana, in senso più accomodante; il giornale del Qatar sostiene che ciò
    sarebbe il risultato di forti pressioni sul primo ministro Benjamin Netanyahu
    da parte dei parenti dei rapiti e dell’amministrazione americana, nonché di un
    conflitto politico all’interno del gabinetto di guerra. Certamente una
    sospensione dell’azione in questa fase di accerchiamento e conquista delle
    roccaforti terroriste sarebbe un costo gravissimo per Israele.
     
    Le manovre per concludere l’offensiva
    La seconda possibilità di blocco viene dal tentativo di
    stabilire una fine dell’azione militare di Israele per mezzo dell’azione
    diplomatica, che cerca di limitare o annullare la vittoria di Israele. Qui
    convergono molti attori. Innanzitutto l’azione delle Nazioni Unite, dove il
    segretario Gutierrez ha convocato per la prima volta in decenni il consiglio di
    sicurezza su sua iniziativa in base all’articolo 99 della Carta dell’Onu, che
    parla di gravi pericoli alla pace e alla sicurezza. Poi i contatti diplomatici
    che tutti stanno prendendo per acquisire meriti terzomondistici alle spalle di
    Israele. Putin ha interrotto il suo lungo isolamento per andare di persona
    negli Emirati e in Arabia Saudita (non ha caso due dei paesi più comprensivi
    per Israele); poi di ritorno a Mosca ha ricevuto Ibraim Raissi, il feroce
    presidente dell’Iran. Con l’Arabia Saudita starebbe lavorando anche la Francia
    per  fermare la guerra, a quanto
    riferisce il quotidiano libanese Al-Akhbar: i sauditi avrebbero elaborato una
    proposta che terrebbe tener conto sia delle richieste palestinesi che di quelle
    israeliane, mettendo sul tavolo anche l’apertura di relazioni diplomatiche con
    Israele. Le richieste palestinesi che l’Arabia secondo questa fonte vorrebbe
    accogliere includono il cessate il fuoco, il rilascio dei prigionieri e
    l’introduzione di aiuti umanitari. Le richieste israeliane sarebbero il
    rilascio degli ostaggi e la resa della leadership di Hamas, che però verrebbe
    esiliata (si è parlato dell’Algeria) ma non liquidata. Secondo il quotidiano si
    è ipotizzato inoltre di liberare 5.000 terroristi palestinesi meno dei 10.000
    richiesti da Hamas, ma comunque senza alcuna giustificazione. È chiaro che se
    queste richieste fossero accolte, Israele sarebbe in sostanza sconfitto e sin
    troverebbe a fare i conti con una popolarità enormemente accresciuta dei
    terroristi fra i palestinesi, anche se la loro rete a Gaza fosse smantellata. È
    del tutto improbabile che siano accolte e probabilmente i sauditi lo sanno
    benissimo (forse meno Macron, che sembra avere un’idea molto semplicistica
    della politica mediorientale). Esse servono a fare pressione per “moderare”
    Israele, ma soprattutto a poter dire in futuro ai politici, ai media e a
    eventuali manifestanti che l’Arabia ha fatto il possibile per aiutare i
    “fratelli di Gaza” (che però certamente non vuole sul suo territorio). Ma
    purtroppo non è stata ascoltata…

     
     

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