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SPECIALE PESACH 5784

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    I Chachamim insegnano che, se tutto Am Israel rispettasse due Shabbatot, il Melech AMashiach arriverebbe immediatamente…

    Da millenni si parla delle doglie del Mashiach, quella che sarà una preparazione “dolorosa” prima del suo avvento. Che come prima di un parto, sarà preceduta dal travaglio con contrazioni e dolori. Le tragedie del nostro secolo, ci hanno fatto pensare che questi dolori siano iniziati, e se è in corso qualcosa di doloroso, noi non facciamoci trovare impreparati: con il nostro contributo, affrettiamo la venuta di tempi migliori Bezrat Hashem.

    In ebraico la sedia della partoriente si chiama “mashber”, che significa anche crisi: chi ha partorito spontaneamente saprà cosa intendo. Gradualmente si attiverà qualcosa, si proveranno dolori prima sopportabili, poi sempre più intensi, finché si penserà di non farcela più, di cedere alla resa, ma dopo aver spinto con tutte le forze, in quel momento di sfinimento assoluto…finalmente si sentirà il pianto del neonato, liberatorio che donerà una gioia infinita, irromperà nella sua perfezione come il miracolo della vita e cancellerà tutto il dolore provato fino ad un istante prima.

    Il mio sentito augurio è che Hashem possa presto farci gioire, cancellando ciò che ci ha fatto soffrire. Non riesco a non considerare che il 7 ottobre fosse Shabbat. Trovo importante per questo spendere delle parole riguardo questo speciale giorno. E pensare al Kiddush che tutti recitiamo: in cui si risponde all’unisono “lechaim” alla vita!

    L’importanza della centralità dello Shabbat nella vita di ciascun ebreo va sottolineata per chi ne è al corrente, chiarita e svelata a chi non ne è a conoscenza; affinché si possa riconoscere che quello che è un comandamento “Ricorda il giorno dello Shabbat per renderlo sacro. Per sei giorni lavorerai…e il settimo considera come se tu abbia terminato tutte le tue attività. Il settimo giorno è Shabbat per l’Eterno il Tuo Signore, in esso non dovrai fare nessun lavoro…”Shemot, 20,8. Il quarto comandamento dato da Hashem al popolo ebraico ai piedi del Sinai, è un dono prezioso, un regalo immenso e porta una berachà infinita.
    L’Iben Ezraà spiega che, come il Brit Milah, lo Shabbat è un segno, ot, di appartenenza al popolo d’Israele. Come il popolo ebraico è distinto dagli altri popoli, il settimo giorno viene distinto dagli altri giorni della settimana, ciò che è sacro viene distinto dal profano. Un ebreo che trasgredisce lo Shabbat non mostrerà differenza visibile con gli altri. Hashem, Creatore del mondo, in sei giorni ha compiuto la sua opera; il settimo giorno si è astenuto. Chi rispetta Shabbat seguendo l’Halacha, si fa socio di Kadosh Baruchu nella creazione del mondo. Lo Shabbat porta armonia nel mondo per questo l’usanza di salutarsi dicendo “Shabbat Shalom”.
    È un’illusione pensare di essere liberi se si può fare ciò che si vuole, senza regole, senza orari, senza limiti.
    Libertà, è la condizione di chi non ha dipendenze: che riesce a spegnere serenamente il cellulare diciotto minuti prima del tramonto. E non vede l’ora di farlo. Che chiude i contatti con tutto quello che riguarda il mondo del lavoro, entrate, uscite, commissioni, riassortimenti. Stop! Che riesce a staccarsi da una serie di cose materiali, a favore del vero riposo. Un riposo mentale, psicologico, una pausa: l’anima ha necessità come il corpo di essere nutrita, saziata e rifocillata. Durante la settimana presi dalla routine, gli impegni, le dedichiamo poco tempo. Moshè propose al faraone di dare un giorno di riposo agli schiavi in Egitto per renderli più produttivi.
    Il Pirke Avot 6,2 insegna che non c’è persona veramente libera, se non colui che si occupa di Torah. Chi non osserva la Torah è schiavo dei suoi istinti, dei suoi desideri, senza alcuna possibilità di resistere a questi come gli animali. Nel momento in cui un individuo comprende che è necessario porsi dei limiti, si rende libero dai propri istinti, ha la possibilità di dominarli. Non è tutto proibito in quel giorno: è possibile essere felici, rallegrarsi a tavola con la propria famiglia, mangiare bene, passeggiare, parlare ed ascoltarsi dialogare, senza distrazioni, senza interferenze. È permesso tutto, tranne ciò che è proibito, cioè 39 melachot. LÈ yesod haemunà il vero fondamento della nostra fede, poiché confidiamo in Hashem che provvederà al nostro sostentamento.
    È il giorno più prezioso della settimana, da accogliere come una sposa e lasciare andare con un pizzico di dispiacere. Ho imparato a salutarlo insieme all’avdalà dicendo ad alta voce “Baruch Hashem tra sei giorni sarà di nuovo Shabbat!”

    IDEE - PENSIERO EBRAICO

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    EUROPA

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