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    Lavorare a maglia per gli ostaggi, sperando nella loro liberazione. Questa è l’iniziativa partita da Kate Gerstler, Saven Hilkowitz e Shawna Goodman Sone che, in seguito ai tragici eventi del 7 ottobre, hanno deciso di realizzare sciarpe per gli israeliani ancora prigionieri a Gaza, da donare al loro ritorno.
    Tuttavia, come riporta il Times of Israel, il progetto “Le sciarpe dell’amore” è poi diventato internazionale: le donne, infatti, immigrate in Israele da Paesi diversi – Canada, Sud Africa e Inghilterra -, dopo aver pubblicato un appello sui social, hanno scatenato moltissimi volontari, che si sono offerti di aiutarle nella realizzazione. Ad ogni persona, dunque, è stato comunicato il nome del rapito: “Mentre si lavora a maglia o all’uncinetto, si pensa a quell’ostaggio”, ha raccontato Hilkowitz che ha confezionato la sciarpa per Ella Elyakim, otto anni, ora rilasciata. “Ci siamo sentite come se li avessimo conosciuti. – ha aggiunto – Osservi il loro viso su un poster, ma quando lavori a maglia per loro, pensi, ‘A questa bambina piacerà il rosa o il verde? È sportiva o è interessata ad altro?”
    Già a dicembre, le tre donne avevano ricevuto decine di sciarpe – ora il numero è salito a circa 140 – , accompagnate spesso da note personali. “Le lettere sono così profonde. Quando abbiamo iniziato, non pensavamo che sarebbe successo tutto questo. – ha detto Goodman Sone – Non avevamo idea che [realizzare sciarpe] avrebbe potuto nutrire così tante persone e calmare il senso di impotenza”.

    Un’altra questione che le donne hanno affrontato e superato è stata la logistica della consegna. Shawna Goodman Sone, fondatrice del programma Summer Camps Israel, attraverso l’Agenzia Ebraica per Israele è riuscita a entrare in contatto con il ‘Forum sugli ostaggi e le famiglie scomparse’ e ha organizzato il trasporto delle sciarpe in una tenda allestita nella Piazza degli ostaggi di Tel Aviv. Inoltre, grazie ad un amico legato alla comunità beduina, ne sono state consegnate altre quattro, realizzate per ostaggi beduini, due dei quali sono stati liberati alla fine di novembre a Rahat. “Tutto questo ci ha avvicinato alla causa e alla realtà della situazione. – ha aggiunto Goodman Sone – Si tratta di un interesse condiviso e un piccolo gesto sociale; e cercare di fare qualcosa invece di limitarsi a lasciar scorrere il destino”. “Per chi realizza sciarpe – conclude Hilkowitz – diventa un lavoro sacro”.

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