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    Il problema geografico

    Un nuovo delicatissimo tema politico/giuridico entra nella campagna elettorale israeliana. È quello della delimitazione delle acque territoriali e delle conseguenti più ampie “zone di interesse economico esclusivo” fra Israele e il Libano. Si tratta di un problema di grande importanza strategica ed economica perché nelle acque del Mediterraneo antistanti la costa israeliana, a una trentina di chilometri da terra, sono state scoperti da un paio di decenni e sono sfruttati da qualche anno alcuni grandi giacimenti di gas, che si chiamano Tamar, Leviathan, Karish. La ricerca prosegue e i nuovi giacimenti da sviluppare si trovano nelle acque settentrionali di Israele, al largo di Haifa e di Acco. Per questa ragione da qualche anno è diventato importante delimitare esattamente il confine marittimo fra Israele e Libano, che prima non importava molto. A seconda di come si stabilisce il confine, infatti, almeno un giacimento, Karish, potrebbe cambiare proprietario fra i due paesi. La legge internazionale è apparentemente chiarissima: i confini fra le acque territoriali di due paesi contigui sono costituiti dalla perpendicolare alla linea della costa nella zona della frontiera terrestre. Ma le coste sono spesso frastagliate e certamente lo sono nella zona di Rosh Hanikrà, che anche gli israeliani spesso conoscono per le scogliere bianche e le grandi grotte che si possono visitare. Si tratta di un promontorio; a seconda dei punti di riferimento che vi si scelgono, la direzione della linea di costa può variare di qualche grado, e con essa anche la perpendicolare, cioè il confine marittimo. 

     

    La disputa

    Ma a distanza di trenta chilometri e passa, qualche grado vuol dire un bel po’ di mare, e soprattutto una grande area dei fondali, preziosi per il gas che contengono. Dunque da una decina d’anni si è aperto un contenzioso fra Libano e Israele. All’inizio Israele ha proposto una certa linea, più inclinata verso nord, il Libano un’altra, volta più a sud; ma quando Israele è sembrato disponibile ad accettarla, il governo libanese ha rilanciato esigendone una terza, ancora più meridionale, che comprende anche il giacimento di Karish, che Israele considera suo, tanto da averne già aggiudicato lo sfruttamento e di aver annunciato che una nave attrezzata inizierà il lavoro fra qualche settimana. Il problema dei confini marittimi non è inconsueto, anche l’Italia l’ha avuto con Francia e Spagna al largo della Sardegna e con Croazia e Slovenia nell’Alto Adriatico. Ma in questo caso vi sono diversi fattori che lo aggravano: il fatto che fra Israele e Libano in teoria vi è ancora uno stato di guerra, la terribile crisi economica del Libano, la presenza di un gruppo terrorista come Hezbollah che ne controlla i gangli centrali di quello stato,  l’interesse spasmodico dell’Europa per la diversificazione delle forniture di gas.

     

    Le trattative

    Da diversi anni vi sono trattative indirette fra Israele e Libano, attraverso una mediazione americana. Negli ultimi mesi la crisi si è aggravata per le minacce sempre più violente di Hezbollah, che ha dichiarato di voler bombardare coi missili le piattaforme israeliane di estrazione e addirittura  di essere disposto a scatenare una guerra, se le pretese libanesi non fossero state accolte. Vi sono stati diversi scambi di proposte e una fitta azione diplomatica americana. Fino a qualche mese fa il problema era che Israele era disposto a un compromesso, ma non oltre la linea che era già stata proposta dal Libano ed era stata sancita anche dall’Onu, che però esclude il controllo libanese dal giacimento di Karish. Negli ultimi mesi però si sono succeduti gli annunci di un prossimo accordo e qualche giorno fa gli americani hanno consegnato ufficialmente alle due parti uno schema di soluzione, che sembra abbia raggiunto il consenso delle due parti. 

     

    L’accordo controverso

    Di questo accordo, che ancora è segreto, non si conoscono i dettagli, ma dalla reazioni degli interessati (per esempio dalla piena soddisfazione di Hezbollah e dalle parole con cui il primo ministro Lapid l’ha annunciato al consiglio dei ministri di domenica), sembra che la sostanza sia che Israele cambia posizione e accetta le richieste libanesi, cedendo quindi una zona consistente di territorio marittimo, in cambio del fatto che il Libano paghi a Israele una certa percentuale dei redditi derivanti dallo sfruttamento del giacimento conteso. Di fronte a un annuncio che sembra preludere a una firma imminente, l’opposizione è insorta. L’accordo infatti sarebbe concluso senza un voto parlamentare da un governo provvisorio privo di maggioranza, che non ha altri poteri legali oltre all’ordinaria amministrazione. Netanyahu l’ha denunciato molto duramente, dicendo che se dalle elezioni uscisse una suo governo (cosa abbastanza probabile) esso non si sentirebbe vincolato a un accordo concluso senza sanzione parlamentare. Ha anche ricordato che vi è una “legge fondamentale” (una cioè di quelle norma generali approvate con procedura speciale, che nel sistema politico israeliano tengono il posto della costituzione), che impone, nel caso di cessioni territoriali, oltre al voto della Knesset anche un referendum confermativo. Lapid ha replicato che l’accordo è urgentissimo e va nell’interesse del paese, perché rende il Libano meno dipendente dall’Iran; ma l’approvazione degli Hezbollah, che dall’Iran dipendono completamente, mostra che a Teheran l’accordo sta bene.  

     

    Una decisione importante

    Siamo in piene campagna elettorale e dunque la disputa diverrà certamente molto aspra ed andrà alla Corte Suprema, che già ha bloccato un paio di settimane fa il tentativo di Lapid di dare un incarico decennale a un nuovo presidente della commissione che sovraintende alla selezione degli altissimi incarichi statali. La Corte ha ricordato a tutti i limiti dei governi provvisori, annullando l’approvazione che alla nomina aveva dato il procuratore generale che sovraintende preventivamente alla legalità degli atti di governo. È una situazione che potrebbe ripetersi. Al di là della questione dei confini col Libano, certamente importantissima, la decisione è essenziale perché la procedura che vorrebbe adottare Lapid escludendo il voto parlamentare e quello popolare, potrebbe costituire un precedente per cessioni di territori nel Golan o in Giudea e Samaria, abrogando di fatto una norma di garanzia sul consenso popolare agli accordi di pace.

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