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    La guerra non risparmia gli artisti. E in questi giorni spicca il caso di Valery Gergiev, direttore d’orchestra, fedelissimo di Putin, e del soprano Anna Netrebko, entrambi finiti nel mirino per l’aggressione della Russia all’Ucraina. Così, Gergiev colleziona inviti ad andarsene, prima dalla Scala, il sindaco di Milano Beppe Sala gli aveva chiesto una condanna alla guerra, non un’abiura, dove il 5 marzo avrebbe dovuto dirigere la Dama di Picche di Čajkovskij, poi anche dalla Filarmonica di Monaco. 

    Scoppia anche il caso Netrebko. La soprano russa, in calendario alla Scala il 9 marzo per “Adriana Lecouvreur” non si è presentata alle prove e ha fatto intendere il suo forfait. Ha inoltre postato sul proprio Instagram sia una condanna contro “la insensata guerra di aggressione della Russia” ma anche una foto insieme al suo scopritore, Gergiev appunto. Foto tolta successivamente e profilo reso privato per le critiche. 

    Tocca alla storia insegnarci qualcosa e qui ci vengono in mente due rivali sul podio di direttore d’orchestra: Wilhelm Furtwängler e Arturo Toscanini che si trovarono a vivere nel periodo buio delle dittature nazi-fasciste. Il primo decise di restare nella Germania hitleriana, non aderì mai al nazismo, ma continuò a dirigere anche per il compleanno di Hitler. Finita la guerra, fu processato e venne assolto. A sua giustificazione, spiegò che si sentiva responsabile per la musica tedesca, andarsene sarebbe stato una fuga vergognosa, “dopo di tutto sono tedesco e non rimpiango di aver fatto questo per il popolo tedesco”. Ma i conti con la storia si fanno a posteriori e nel 1949, Furtwängler accettò la posizione di direttore della Chicago Symphony Orchestra ma l’orchestra ritirò l’offerta dopo la disapprovazione di diversi musicisti ebrei, tra cui Vladimir Horowitz e Artur Rubinstein. 

    Totalmente opposto il caso del rivale Arturo Toscanini il quale, da sempre contro il regime, riuscì a mantenere l’autonomia della Scala fino al 1929, si rifiutò di dirigere alla presenza di Mussolini o dei gerarchi ed emigrò dopo un’aggressione al teatro Comunale di Bologna da parte di una banda di fascisti nel 1931. Nel 1933, infranse i rapporti con la Germania nazista, nel 1936 inaugurò a Tel Aviv l’Orchestra Filarmonica di Palestina (oggi d’Israele) composta dai musicisti ebrei in fuga dal nazismo che diresse gratuitamente. Nel ’38 dopo l’Anschluss ruppe i rapporti anche con l’Austria. 

    Sempre nel ’38, all’indomani dell’approvazione delle leggi razziste, Toscanini le definì “roba da medioevo”. Dagli Stati Uniti, continuò a servirsi della musica per lottare contro il fascismo e il nazismo e aiutò ebrei e perseguitati politici ricevendo l’encomio di Albert Einstein. Alla fine della guerra, nel 1946 diresse il concerto della Liberazione che riempì la Scala fino all’inverosimile. 

    E qui veniamo ad oggi. Avremmo voluto che Anna Netrebko interpretasse più Tosca che Turandot come ha fatto la direttrice del Meyerhold Center, il teatro statale di Mosca Elena Kovalskaya che il giorno dopo l’attacco in Ucraina ha presentato le sue dimissioni affermando che “È impossibile lavorare per un assassino e riscuotere uno stipendio da lui”. 

    Terminiamo questa riflessione scendendo dalla prestigiosa lirica alla più comune commedia. Un semplice attore ebreo, Volodymyr Zelensky, eletto presidente resiste all’invasore diventando un esempio per il suo popolo e provocando acuti nell’animo umano che nessun soprano potrà mai raggiungere. Ma Zelensky è “soltanto” un comico.

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