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    «Levi rappresenta a suo modo un “tipo” italiano, il genio dalle molteplici qualità. In ognuna dotato». Così scriveva nel 1946 il critico e storico dell’arte Carlo Ludovico Ragghianti nel testo che accompagnava una mostra di Carlo Levi a Roma, mettendo in luce un percorso complesso di scrittore, pittore e uomo politico. 

    L’esposizione “Levi e Ragghianti. Un’amicizia fra pittura, politica e letteratura” che ha inaugurato alla Fondazione Centro Studi Ragghianti di Lucca (fino al 20 marzo), e realizzata in collaborazione con La Fondazione Carlo Levi di Roma, mette a fuoco il lungo rapporto intellettuale tra queste due figure ricostruendone i diversi aspetti. L’esposizione curata da Paolo Bolpagni, Daniela Fonti e Antonella Lavorgna si snoda tra oltre cento opere e documenti che restituiscono un’amicizia che è un pezzo di storia del nostro Paese. 

    Ragghianti e Levi si erano conosciuti nella seconda metà degli anni Trenta, ma il loro rapporto si era intensificato nel 1941 in una Firenze occupata dai nazisti. Levi si era nascosto clandestinamente nella città toscana dopo essere tornato da Parigi, dove era fuggito dopo le leggi razziali, e lì aveva condiviso con il critico i comuni valori antifascisti e un ruolo attivo nella Resistenza. 

    Levi aveva cominciato il suo impegno politico frequentando i fratelli Rosselli ed era diventato a Torino, dove era nato nel 1902, parte del gruppo di “Giustizia e Libertà” e contatto con i fuoriusciti antifascisti a Parigi. Nel 1934 questi rapporti gli erano costati un primo arresto, seguito da un secondo l’anno successivo, che lo costrinse al confino in Lucania; da quell’esperienza ne nascerà “Cristo si è fermato a Eboli”, il suo romanzo più noto scritto proprio in quei giorni clandestini fiorentini (e tradotto in ebraico nel 1961 la cui copia è esposta in mostra). 

    Tutte queste esperienze non gli avevano impedito di dedicarsi alla pittura, traendo dagli spostamenti influenze diverse. Dipinti come “La madre e la sorella” (1926) – come ricorda Daniela Fonti una sorta di benedizione materna e di trasmissione della cultura – guardano al lavoro di Felice Casorati, altri risentono nella pennellata corposa e nel colore dell’influsso della Scuola di Parigi.

    In mostra si ritrovano diversi autoritratti compreso uno del 1937, dipinto forse all’indomani dell’uccisione dei fratelli Rosselli dove l’artista appare scuro in volto, e diversi personaggi che rimandano al mondo ebraico.  nel quadro “Booz” (1950) – il Boaz sposo di Ruth – come anche nei lavori dedicati alla famiglia “I fratelli (Riccardo, Luisa e Lelle)” (1938) e quelli dei personaggi come “Carlo Rosselli” (1932) e “Leone Ginzburg” (1933).

    Molte delle opere in mostra trovarono spazio nella monografia su Levi che Ragghianti curò nel 1948 – la prima dedicata dal critico a un artista a lui contemporaneo – il più completo studio che era stato fatto sull’artista fino a quel momento, segno di un’intesa intellettuale e di profonda conoscenza reciproca.

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