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    Non pensate che sia sempre stato così. Non pensate che i ragazzini del secolo scorso come me potessero fare affidamento ogni settimana su un nuovo film sui supereroi come accade oggi per i nostri figli o i nostri nipoti. Non c’erano decine di broadcaster in competizione e la cultura dei comics era ancora un monolito di nicchia sotto al quale pregavano pochi accoliti spesso ritenuti dei pazzi. Per questo quando fu annunciato lo sbarco nelle sale cinematografiche del film Superman si trattò di un evento epocale per il mondo dei nerd dei fumetti. Qualcosa che sapevamo potesse avere il sapore del riscatto.

     

    A dirigerlo era stato chiamato un grande artigiano della macchina da presa e il fatto che si trattasse di un ebreo, considerate le origini culturali di Superman, non poteva essere una coincidenza.

     

    Isaac Singer diceva che un vero scrittore non scrive in una lingua appresa da adulto ma nella lingua che conosce fin dall’infanzia. La lingua delle fiabe, degli archetipi, del sense of wonder che i supereroi dei fumetti così bene sapevano incarnare. E non v’è dubbio che Richard Donner conoscesse quel codice a meraviglia e non solo per essersene nutrito nell’infanzia ma anche per averlo sperimentato decine e decine di volte con serie tv e film prima di ritrovarsi davanti l’occasione della vita: la possibilità di dirigere un film su uno dei più celebri supereroi di sempre, nato dalla creatività di due autori ebrei come lui, Jerry Siegel & Joe Shuster, e di poter far muovere sul grande schermo una icona della celluloide come Barlon Brando.

     

    Richard Donner, di cui oggi piangiamo la morte avvenuta a novantuno anni, era nato Richard Donald Schwartzberg nel Bronx da una famiglia di origini ebraiche. All’inizio pensava di poter diventare attore ma poi si rese conto che la strada più adatta alle sue peculiarità creative doveva essere quella del regista. Prima di arrivare alla regia di Superman passarono però molti anni di gavetta in cui Donner diresse molti episodi di altrettante serie tv, affinando sempre di più la sua tecnica narrativa per immagini. Andando a spulciare nella sua filmografia ci accorgiamo che la sua firma compare in serie tv come Ai confini della realtà, U.N.C.L.E., Perry Mason, Il Fuggitivo, Ironside, Kojak in cui si fa le ossa, impara, evolve e si abitua a affrontare con enorme elasticità qualunque territorio narrativo. I suoi successi cinematografici derivano proprio da questo approccio artigianale alla macchina da presa che, in qualche modo, ricorda il percorso affrontato da gente come Brian De Palma o Joe Dante.

     

    Probabilmente all’inizio Donner non si rende conto che con Superman ha di fronte l’occasione della vita e non si rende nemmeno conto di essere colui che verrà ricordato come il pioniere che ha visto da protagonista l’alba dei supereroi sul grande schermo. Nonostante il tempo che fugge ancora oggi Superman è un gioiello di narrazione cinematografica in grado di resistere al tornado dei sofisticati effetti speciali. Christopher Reeves sospeso nel vuoto grazie a invisibili fili di nylon, impossibili da ritoccare al computer ma che scompaiono solo grazie a sapienti giochi di lenti, è un’icona della nostra infanzia che alla centesima visione mette ancora i brividi. Quella colonna sonora incalzante che accompagna il ragazzo di Kripton nei cieli della Terra ci esaltava come il vedere i giocatori della Nazionale sull’attenti mentre suona l’Inno Nazionale. Lo è per noi europei una magia figuriamoci per gli americani che vedevano in quell’uomo in calzamaglia l’incarnazione della lotta allo spettro del nazismo incombente.

     

    I protagonisti ebrei o di origini ebraiche nel mondo del cinema sono moltissimi, forse la ragione di questa presenza è la capacità di districarsi nell’universo dei simboli. Dunque non mi meraviglia affatto che anche il buon Donner fosse di quella partita. Dopo Superman verranno Ladyhawke, I Goonies, Arma Letale ma non me ne vogliano i cinefili se il suo nome, per noi nerd del fumetto, resti indissolubilmente legato a quell’eroe che, come Mosè, fu messo in una cesta a forma di astronave per fuggire alla distruzione del suo popolo. Il messaggio solare di chiara matrice ebraica che lo vede precipitare tra le braccia di una coppia di contadini terrestri che si assumono la responsabilità genitoriale è un messaggio di speranza che rappresenta l’esaltazione dell’uomo di buona volontà di fronte all’ignoto. Chi salva una vita, salva il mondo intero. E salvando Superman, la coppia Kent salva davvero il mondo intero perché gli regala il difensore più forte di tutti i tempi. Richard Donner dimostra di trovarsi perfettamente a suo agio di fronte a quella prova di rivisitazione simbolica e riesce a comunicare al pubblico tutta la potenza di quel racconto immortale.

     

    Oggi Richard Donner ci ha salutati, mi piace pensare temporaneamente, ma solo dopo averci lasciato un tracciato da percorrere mille e mille volte ancora. Perché se la vita è il carro di Dio, diceva sempre Isaac Singer, allora la morte è solo l’ombra della sua frusta.

     

     

     

    Roberto Genovesi è un giornalista, scrittore con all’attivo oltre una dozzina di romanzi pubblicati anche in Spagna, Portogallo e Gran Bretagna, dirigente Rai responsabile dell’area Progetti Speciali e direttore artistico di Cartoons on the Bay, festival dell’animazione crossmediale e della tv dei ragazzi.

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