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    Giovanni Di Veroli, detto “Ciccio”, negli anni ’50 è stato un calciatore della Lazio ed è rimasto nella storia per essere stato l’unico ebreo romano a giocare in serie A. Alla sua incredibile e avventurosa vita ebraica, sportiva, romana e lavorativa è dedicato “Una stella in Campo. Giovanni Di Veroli dalla persecuzione razziale al calcio di serie A” (Paolo Emilio Persiani editore), scritto dal giornalista Paolo Poponessi e dal figlio di Giovanni, Roberto Di Veroli.

     

    «Quella di Giovanni Di Veroli è una storia italiana, una storia ebraico-romana ed una storia di sport. Sono tre storie insieme che in qualche maniera descrivono un pezzetto di Storia italiana. Quando si parla di sport si pensa ad una cosa banale o commerciale, ma in realtà parlare di calcio in Italia significa davvero parlare di un pezzo di storia nazionale, perché dopo la guerra in Italia il calcio era diventato una sorta di simbolo di rinascita di un Paese che guardava oltre i drammi e le tragedie della guerra. Era un’Italia diversa» spiega a Shalom Poponessi.

     

    La vita di Giovanni inizia nel centro di Roma, al portico d’Ottavia, dove viveva con la sua famiglia di religione ebraica. Suo padre Prospero era un urtista che per motivi di lavoro si spostò a Milano prima delle Leggi razziali del 1938. Ancora bambino Giovanni visse i drammi della guerra: i bombardamenti della città di Milano che colpirono la nuova casa di famiglia, ulteriori spostamenti  in campagna, a Velletri e a Roma, le discriminazioni, la fuga dalle persecuzioni nazifasciste. Il libro include anche la trascrizione di una registrazione audio del drammatico racconto di Giovanni su come la sua famiglia riuscì a salvarsi dal rastrellamento del ghetto di Roma il 16 ottobre del 1943. 

     

    Come cominciò a giocare per la Lazio? Sin da bambino “Ciccio” giocava a calcio per strada insieme ai fratelli ed iniziò a giocare per la squadra ebraica della Stella Azzurra. Un giorno, durante una partita, sentì qualcuno gridare “C’è speranza per la Lazio!”. Non era uno scherzo. A gridare quelle parole era un osservatore della Lazio che da bordo campo era rimasto colpito dal talento di “Ciccio”. 

     

    Di Veroli fu selezionato dalla Lazio ed esordì nel 1953 in Lazio-Fiorentina. Viene descritto come un uomo “dal carattere irruento e sanguigno che esprime anche nel suo modo di giocare”, tanto che giocò un’intera partita Roma-Lazio con il perone rotto. Nel racconto non mancano episodi che videro protagonista Di Veroli, aneddoti calcistici, trafiletti di giornali, fotografie, risse tra tifosi.

     

    «Il calcio degli anni ’50 era un altro calcio» commenta il figlio di Giovanni, Roberto. «Non era il calcio di oggi. Mio padre mi ha sempre detto che lui scendeva in campo con la fame. Gli davano un brodino ed un pezzetto di bollito prima di entrare in campo. Oggi ogni calciatore invece ha un preparatore atletico. È un altro livello». Anche quando ha smesso di giocare a calcio Giovanni è sempre rimasto uno sportivo. «Andava in palestra. È venuto a mancare il 1° giugno del 2018 e fino a due mesi prima che mancasse girava ancora con il motorino. È sempre stato uno sportivo. Questo lo ha aiutato nella vita».

     

    Giovanni Di Veroli non è stato solo un calciatore prima e commerciante poi. Durante la guerra dei Sei Giorni del 1967 tra Paesi arabi e Israele partì da Roma, lasciando la moglie ed i bambini per andare in prima linea come fotoreporter, a combattere solo con un’arma: la macchinetta fotografica. Ad attestare l’attività sul campo di battaglia dell’ex difensore della Lazio ci sono alcune sue fotografie che sono state raccolte nel libro insieme al racconto di questa ulteriore avventurosa tappa di un’incredibile vita vissuta da un ebreo romano sulle strade dell’ex Ghetto di Roma, sul campo di calcio e su quello di battaglia. Vita che oggi si può scoprire meglio con la lettura di “Una stella in campo” che verrà presentato il 30 marzo al Pitigliani dagli autori con la partecipazione speciale di un atleta della Polisportiva S.S. Lazio.

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