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    L’esodo degli ebrei libici in un romanzo basato su una storia vera che ci porta nell’incubo delle carceri di Gheddafi. È “Notturno Libico” (ed. Solferino), il nuovo romanzo di Raffaele Genah, giornalista, già vicedirettore del Tg1, capo della sede RAI per il Medioriente.
    Il testo narra le vicende di una coppia di ebrei di Tripoli. Come tutti i membri della comunità, Jasmine e Giulio Hassan e i loro figli sono costretti ad abbandonare il paese a seguito della Guerra dei sei giorni nel 1967 che innesca una spirale di violenza per la città. “Dopo tutti questi giorni chiusi in casa, le preoccupazioni per quello che sta accadendo intorno a noi, le violenze, i cortei che invocano ‘edbah al yehud’ uccidi l’ebreo, i roghi, i morti arriva finalmente il momento della partenza. In queste condizioni però non è facile nemmeno partire. Gli aerei sono strapieni per questo esodo in massa che di fatto segnerà la fine della presenza degli ebrei in Libia”, racconta Jasmine nel romanzo, un’immagine ben presente, quella di quei tragici momenti, vissuta dalla comunità tripolina.
    Ma per i coniugi Hassan, l’inferno non è ancora finito. Gli ebrei sono stati costretti a partire con 20 lire libiche, una cifra irrisoria che non permette certo di sopravvivere, così Giulio decide di tornare in Libia per cercare di salvare o di vendere almeno una parte dei beni di famiglia rimasti nel paese. Una scelta che si rivelerà fatale. “Quando, a fine giugno 1969, mio marito mi comunica la sua decisione di tornare nuovamente a Tripoli per sbrigare alcune cose, provo in tutti i modi a dissuaderlo”. Ed è qui che malgrado le premonizioni di Jasmine, Giulio si trova coinvolto nella rivoluzione portata avanti da Gheddafi. “Capiamo subito che è accaduto qualcosa di molto serio: c’è stata una rivoluzione, ed è stato imposto il coprifuoco”.

    Per Giulio la situazione si complica ancora di più. “La notte tra il 10 e l’11 settembre, il silenzio spettrale del coprifuoco è rotto dal rumore di un’auto, un Maggiolino rosso, che si ferma proprio sotto casa nostra. Due individui in abiti civili bussano al portone, e al vicino che è sceso ad aprire chiedono di chiamare Giulio Hassan. Scoprirò solo dopo che sono agenti della Polizia segreta. Vengono a casa a prelevarmi”. Giulio viene arrestato e trattenuto nelle famigerate carceri di Porta Benito. “Niente lenzuola, né cuscino. Ognuno di noi però ha una coperta, che diventa essenziale non solo per ripararsi dal freddo ma anche per gli altri usi che ne facciamo, chi per pregare, chi per sedersi, chi per giocare a carte. E così anche la coperta diventa la trincea per difendersi”.
    Inizia una lotta, quella di Jasmine per farlo liberare, ma anche quella di Giulio di resistere agli orrori del carcere. Un romanzo avvincente, dal ritmo incalzante che si legge tutto d’un fiato che rievoca la storia vissuta da Genah, che a 13 anni è costretto ad abbandonare per sempre la Libia con la famiglia. Nel romanzo, i personaggi sono descritti realisticamente e fanno precipitare il lettore in un caleidoscopio di sensazioni: tensione, timore, rabbia, frustrazione, tradimento, ingiustizia, speranza, anelito di libertà. Un libro da non perdere per conoscere un paese che fa parte della nostra storia e per chi l’ha vissuto, per ricordare e mai dimenticare.

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