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    Yosef, venduto dai fratelli come schiavo, fu acquistato in Egitto da Potifàr. Costui si rese conto delle sue capacità e gli affidò la direzione della sua casa. Yosef fu presso Potifàr solo un anno, ma anche in questo breve periodo fu messo alla  prova a causa delle richieste della moglie di Potifàr. 

    Nella Torà è scritto: “Ora, dopo queste cose, la moglie del suo padrone volse gli occhi verso Yosef, e disse: Giaci con me. Ed egli rifiutò e disse alla moglie del suo padrone: Vedi, il mio signore non ne sa di nulla con me di  quanto è in casa, e tutto il suo ha posto in mia mano. Egli non è in questa casa niente più di me, né vi è cosa che non abbia lasciato in mia potestà, fuorché te, poiché sei sua moglie. Come dunque potrei commettere sì grande misfatto, e peccare [quando pure nessuno lo venga a sapere] contro a Dio? (Bereshìt, 39: 7-9). 

    R. Joseph Pacifici (Firenze, 1928-2021, Modiin Illit) in Hearòt ve-He’aròt (p. 48) commenta che una persona deve imparare a dire “no”, a decidere “io non lo faccio”. Quando ci si trova di fronte ad una prova, la prima cosa da fare è decidere di dire “no”, come fece Yosef, che prima rifiutò e solo dopo spiegò alla moglie di Potifàr il motivo del suo rifiuto. Le disse che suo marito si era comportato bene con lui, e quindi come avrebbe lui potuto comportarsi con suo marito in malo modo? Questo è un profondo insegnamento morale. Il Santo Benedetto ci ha dato tutto: mani, gambe, forza fisica e intelligenza; come possiamo quindi usarli in modo inappropriato? Yosef era un uomo di tutto un pezzo. Le circostanze cambiarono, ma lui rimase lo stesso Yosef con i principi morali che aveva imparato nella casa paterna. 

    R. Moshè Feinstein (Belarus, 1895-1986, New York) in Daràsh Moshè  (ed. inglese, p. 66) osserva che ci sono persone che credono che sia una mitzvà esporsi di proposito a tentazioni per poter ottenere una maggiore ricompensa per avere resistito. Questo è un errore perché la Torà ci insegna che bisogna  tenersi lontani da situazioni del genere il più possibile. Resistere alle tentazioni e superare delle prove è una cosa degna di ammirazione solo quando non c’è modo di evitarle. Ma nessuno deve mettersi di sua volontà in situazioni del genere. C’è tuttavia un’eccezione: se una persona ha fiducia che saprà resistere alle tentazioni e l’alternativa è di mettersi in pericolo, non si è obbligati a rischiare la vita fuggendo.  Questo è il motivo per cui nella Torà è scritto: ”Ella lo afferrò per la veste, dicendo: Giaci con me. Ma egli le lasciò in mano la veste, fuggì, ed uscì fuori” (ibid., 12). Yosef non solo fuggì ma  anche “uscì fuori” in un luogo dove non vi erano pericoli. 

    Nel Midràsh (Bereshìt  Rabbà, 90:3) Rabban Shim’on ben Gamliel disse: “Yosef ricevette [dal faraone] quello che meritava. Grazie al fatto che la sua bocca non baciò commettendo una trasgressione, nella Torà è scritto: «E dietro gli  ordini della tua bocca si governerà tutto il mio popolo» (ibid., 41:40). Grazie al fatto che il suo corpo non commise trasgressioni, fu vestito di abiti di lino prezioso (ibid, 42). Il collo che non si piegò per commettere trasgressioni ricevette una collana d’oro (ibid.). Le sue mani che non toccarono quello che era proibito ricevettero l’anello del Re (ibid.). Le sue gambe che non camminarono per fare trasgressioni salirono sulla seconda carrozza reale (ibid., 43). E infine, non avendo pensato di commettere cose proibite venne nominato consigliere del Re nonostante la sua giovane età (ibid.). 

    Da questo episodio si possono imparare molte regole per il nostro comportamento di ogni giorno. Nello Shulchàn ‘Arùkh (Even ha-‘Ezer, 22) vi è tutta una serie di halakhòt che insegnano che bisogna evitare di mettersi in situazioni che possono condurre a comportamenti impropri. Un primo esempio è la proibizione di appartarsi con una donna che non sia moglie, madre o figlia. E lo stesso vale al contrario per una donna. In queste situazioni anche a rischio di essere presi in giro bisogna saper dire di no. 

                

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